Cinquant’anni di sostenibilità le imprese agromeccaniche sono pronte

L’anno che si sta chiudendo celebra il cinquantesimo
anniversario della definizione ufficiale del concetto di sostenibilità,
espresso nella prima conferenza sull’ambiente
indetta dalle Nazioni Unite proprio nel 1972. Un periodo caratterizzato
da gravi e profondi conflitti locali e non ancora liberatosi
dall’incubo della guerra nucleare, in cui iniziavano a germinare
nuove istanze per realizzare finalmente un mondo migliore.
La pubblicazione del rapporto Brundtland (dal titolo “Il futuro di
tutti noi”) chiarì una volta per tutte che il mondo avrebbe potuto
rispondere a questa sfida solo adottando un modello di sviluppo
sostenibile. L’aggettivo, secondo i dizionari, richiama un’esigenza
primaria: lo sviluppo deve poter essere tollerato da tutti i soggetti
coinvolti e per tutti i suoi vari aspetti, senza che le reciproche
interazioni diano luogo a problemi insormontabili, a conflitti o a
limitazioni ai diritti dei più deboli. Non stiamo parlando quindi di
una filosofia utopistica, ma di un modo di vivere che deve coinvolgere
le nazioni e le attività economiche che le sostengono, in
un processo di crescita armonioso ed equilibrato.
Parlare di agricoltura sostenibile significa coinvolgere sia gli aspetti
ambientali sia quelli economici, due ambiti che comprendono
l’impiego ottimale delle risorse naturali, il fabbisogno di energia,
la giusta remunerazione del lavoro e del capitale, il rispetto per
l’integrità dell’individuo. Già oggi il settore primario desta qualche
preoccupazione nell’opinione pubblica, che si interroga sull’effettiva
rispondenza ai criteri ambientali, spesso aiutata da incompetenti
mossi da ragioni ideologiche, che tuttavia trovano seguito,
non solo sui social, ma talvolta anche sui mezzi d’informazione.
Opporsi a queste “bufale” o fake news è reso più difficile dalla
propensione umana a classificare come semplici opinioni le voci
discordanti, che finisce per mettere sullo stesso piano verità e
falsità. È preferibile lasciar parlare i fatti, a partire dal crescente
ricorso ai servizi agromeccanici, che negli ultimi anni ha portato
– secondo l’Istat – ad interessare oltre due terzi delle superfici e
delle aziende agricole: una scelta dettata soprattutto da motivazioni
economiche, ma che è sostenibile sotto tutti gli aspetti.
Secondo lo studio condotto dall’Università di Milano e recentemente
presentato nell’ambito di Eima 2022, che ha coinvolto
imprese agromeccaniche di tutta Italia, l’affidamento, più o
meno intensivo, delle lavorazioni meccaniche al contoterzista
porta con sé innumerevoli riflessi energetici e ambientali. Sul

piano energetico, l’impiego di mezzi con grande capacità di
lavoro riduce il numero dei passaggi e, nonostante le maggiori
potenze impegnate, riduce sensibilmente i consumi di energia
per unità di superficie. Gli effetti sull’ambiente, valutati rispetto al
ciclo di vita dei mezzi meccanici, risultano ancora più favorevoli
perché le macchine vengono sfruttate in modo intensivo e su
grandi superfici, minimizzando l’impatto per ettaro coltivato; sul
piano agronomico, infine, la riduzione del disturbo arrecato al
terreno e agli organismi che lo popolano, incrementa la capacità
rigenerativa della fertilità naturale, realizzando gli obiettivi che la
Commissione europea sta teorizzando in questi giorni.
Accertata la maggiore sostenibilità di un processo produttivo
affidato alle imprese agromeccaniche, piuttosto che gestito in
proprio dall’agricoltore, viene da chiedersi per quale oscuro motivo
la categoria sia stata per tanto tempo ignorata da parte delle
politiche di sviluppo agricolo. Vogliamo pensare che sia mancata,
anche da parte nostra, la capacità di far conoscere il nostro lavoro
e la nostra propensione all’innovazione, che ci consente di raggiungere
anche quelle aziende agricole che, per vari motivi, non
possono o non vogliono investire sul futuro che sta arrivando.
Ora che certi aspetti sono stati verificati e propagandati vorremmo
creare un canale di dialogo permanente con le istituzioni,
a tutti livelli, per vedere riconosciuto il ruolo della categoria
agromeccanica, che è divenuta una delle colonne portanti della
produzione primaria, e non più solo un’attività di supporto.
Vorremmo che a livello centrale venissero comprese e accettate
le motivazioni che hanno già spinto diverse regioni a creare un
albo delle imprese agromeccaniche, finalizzato alla certificazione
delle attività svolte in agricoltura, all’interno delle relative filiere,
per dare piena tracciabilità al processo produttivo.
Vorremmo inoltre che le imprese agromeccaniche potessero
direttamente accedere ai contributi comunitari per lo sviluppo
delle aree rurali, come previsto dai nuovi regolamenti, perché
incentivare l’acquisto da parte loro di nuove tecnologie significa
diffonderle capillarmente sul territorio.
Vorremmo infine che i benefici fiscali previsti dalla Transizione 4.0
non venissero ridotti, come previsto dalla legge di bilancio 2021,
proprio nel momento in cui la diffusione delle tecnologie digitali
sta segnando un decisivo passo in avanti, proprio ad opera delle
imprese agromeccaniche.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI AGROMEC