Agromeccanici sulla soglia di una nuova era

In un quadro economico ancora dominato dall’incertezza,
determinata dalle crisi internazionali e dal timore di una deflagrazione
dei conflitti locali che ci riportano ogni giorno alle
questioni irrisolte dalla Storia, l’agricoltura resta in primo piano.
La politica comunitaria continua a riproporre, secondo il pragmatismo
che la contraddistingue, gli schemi e le iniziative scaturite
da un programma ormai superato: nonostante l’imminente
appuntamento elettorale, tutti gli schieramenti insistono sulle
vecchie linee programmatiche.
Un atteggiamento miope, o se vogliamo poco attento ai sentimenti
che dominano la popolazione, portata a chiudersi in
sé stessa: l’ideale europeista deve fare i conti con i sacrifici che
l’Unione impone ai Paesi che, geograficamente o economicamente,
stanno ai confini dell’Europa.
Il sostegno all’Ucraina che – nonostante il conflitto che la insanguina
– resta il principale produttore continentale di commodity,
sta mettendo in ginocchio l’intero settore agricolo, con l’abolizione
dei dazi doganali che ogni paese estraneo all’Unione deve
pagare per vendere i suoi prodotti. A parte le turbative sui mercati
internazionali – qualche altro grande produttore potrebbe avere
le medesime ragioni per vendere in Europa a dazio zero – vi sono
altre facilitazioni, come quelle sui trasporti su strada, che stanno
creando forti tensioni ai confini orientali dell’Unione. Ma la politica
agricola, nonostante le promesse ed il “contentino” sul 4% dei
terreni a riposo, non sembra preoccuparsi della crisi di mercato
che ha lei stessa provocato e continua a insistere su un obiettivo
ambientale che il settore primario non può più sostenere.
In Italia esiste la convinzione che quando la gente scende in piazza,
che abbia ragione o no, la classe politica ne viene influenzata:
siamo abituati a cercare le strade del dialogo, per contemperare il
programma già tracciato con le esigenze che scaturiscono durante
il percorso. A livello europeo l’atteggiamento sembra invece
molto più rigido ed è assai meno influenzato, a parte qualche
gesto di facciata per calmare le proteste dello scorso inverno,
dall’opinione pubblica, che continua a essere molto legata alla
mentalità delle grandi aree urbane e industriali.
Cinque anni fa la seconda conferenza di Cork aveva cercato di
ricordare all’Europa che esiste, sulla maggior parte del territorio,
una minoranza di cittadini costantemente condannati a non
accedere alle stesse opportunità concesse alla maggioranza

della popolazione. Già il fatto che la vita costi meno fa pensare a
un’Europa più povera di quella dei palazzi del potere; in campagna
la “banda larga” è un miraggio (talvolta manca pure il segnale
telefonico!), con il rischio di non poter applicare, per esempio, le
tecniche di agricoltura di precisione.
Il ragionamento ci porta, ancora una volta, a riflettere sul ruolo
dell’innovazione in agricoltura, che nel nostro Paese, come nei
territori rurali di gran parte dell’Europa, si fonda sul contributo
di piccole e medie aziende, messe sempre più in difficoltà dalla
morsa dei costi e dei prezzi. Come agromeccanici sappiamo di
avere un importante ruolo sociale, oltre che produttivo, per dare
agli agricoltori quel supporto che consente loro di restare sul
mercato da protagonisti e non da classe inferiore, sottoposta ai
capricci del mercato e della politica internazionale. Un supporto
ormai pienamente compreso dalla nostra classe politica, grazie
anche al quotidiano impegno della Confederazione, e che si è
di recente concretizzato in un’audizione in Commissione Agricoltura
della Camera, alla presenza di tutte le rappresentanze del
mondo agricolo.
Il tema era quello del riconoscimento della funzione delle imprese
agromeccaniche all’interno della produzione agricola, un
processo iniziato 20 anni fa ma non ancora completato: all’epoca
fu definita l’attività agromeccanica, ma non la natura giuridica
degli imprenditori che la esercitano. Questo non comporta, e
non deve comportare, la perdita della nostra identità, ma consentirci
di usufruire dei provvedimenti stabiliti in favore degli altri
imprenditori che operano nella filiera dell’agricoltura, superando
le difficoltà riscontrate proprio nei momenti più critici, come le
calamità naturali e non. Un cammino che passa dall’istituzione
dell’albo nazionale, in grado di qualificare i professionisti della
meccanizzazione per poter certificare, con valore legale, le operazioni
svolte ai fini della tracciabilità delle produzioni agricole e
della loro qualità, a tutela dell’ambiente e del consumatore.
In proposito è già stato presentato in Parlamento, a firma dell’on.
Davide Bergamini, un apposito disegno di legge che sta raccogliendo
consensi anche al di fuori della maggioranza di governo:
ma per arrivare alla fine è necessario il sostegno dell’intera
categoria agromeccanica, come anche alcune modifiche che
lo portino a rappresentare nella sua interezza le imprese che
esercitano attività agromeccanica. È auspicabile che, proprio in
questo momento cruciale, che apre le porte a una nuova era,
non vengano a mancare l’unità e la coesione, sia fra le singole
imprese sia a livello di rappresentanze sindacali.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI Agromec