Agromeccanici fra boom dei costi e solidarietà al mondo agricolo

I segnali di una possibile crisi del mercato globale esistevano
già e sono stati solo amplificati dalla pandemia, che a
trenta mesi dalle prime segnalazioni continua ad incidere
pesantemente proprio nell’area geografica in cui fu scoperta
a fine 2019.
Per alcuni decenni è stata seguita la logica del prezzo più
basso, favorita da una sovrapproduzione a livello globale che
aveva portato la libera concorrenza – un principio in sé positivo
– ad assumere il ruolo di una nuova ideologia, che si contrapponeva
a quelle che avevano dominato il secolo scorso.
Un secolo che continua oggi, inaspettatamente, a presentarci
il conto dei problemi accantonati e non risolti, del drammatico
vuoto di ideali che fatto seguito alla sconfitta delle vecchie
ideologie, e di tutte le conseguenze di un benessere sul quale,
per troppo tempo, non ci siamo mai posti domande. Già dal
2020, quando alcuni colossi industriali avevano dovuto ridurre
la produzione per mancanza di componenti elettronici, si
era capito che qualcosa non stava più funzionando bene: la
pandemia aveva certamente ridotto i volumi produttivi, ma
c’era dell’altro.
La logica dei diritti ineliminabili, contrapposti a doveri sempre
meno accettati, è forse responsabile di questo fenomeno?
Non si può dire, ma di certo è che il dialogo fra le persone è
diventato ancora più difficile, come mostra il decadimento
delle relazioni, anche fra le Nazioni.
Comunque sia andata, il mercato globale è in crisi e la corsa al
soddisfacimento dei bisogni primari ed alla difesa del territorio,
anche in senso economico e protezionistico, è responsabile
del generale aumento dei costi delle materie prime. Un aumento
che è stato determinato dai timori sulla sicurezza degli
approvvigionamenti e che, in una spirale viziosa, produce
ulteriori paure amplificando il fenomeno. Ma le commodity
non sono solo quelle legate all’energia: i prodotti alimentari
primari, così come i prodotti dell’industria mineraria, i concimi
ed altre materie prime sono legati fra di loro da un vincolo
indissolubile.
Se aumenta il prezzo dell’uno, aumenta anche quello dell’altro:
i prezzi dei prodotti agricoli in soli due anni sono mediamente
raddoppiati, seguendo la stessa tendenza dei costi energetici.
Una tendenza che non è ancora stata confermata dai prezzi
dei prodotti della zootecnia, ma che appare destinata ad

aumentare: per ora però gli allevamenti stanno soffrendo e
rischiano di saltare.
In questo quadro, come si collocano le imprese agromeccaniche?
É possibile che possano accollarsi gli aumenti di
costi – per macchine, parti di ricambio, gasolio e materiali
di consumo – senza ricaricarli sugli agricoltori, come hanno
invece fatto tutti i fornitori?
Fornitori che, sempre più spesso, sono i medesimi per entrambe
le categorie: come gli agricoltori devono gestire le
proprie macchine, così la maggior parte degli agromeccanici
acquista concimi, sementi, antiparassitari e altri mezzi tecnici.
Se, come è ormai largamente prevedibile, i bilanci delle
aziende agricole dovessero trarre un vantaggio dall’attuale
contingenza economica, con il fatturato in forte aumento,
potranno assorbire sia gli aumenti dei costi dei mezzi tecnici,
sia quelli delle prestazioni agromeccaniche.
Bisogna stare attenti alla libera concorrenza, perché pur essendo
un fattore di sviluppo può essere distorta da pratiche
anomale o sleali: da chi ne approfitta per mettere due imprese
in concorrenza, a chi la usa per sottrarre il lavoro ad un collega,
ad un prezzo inferiore e non remunerativo. La dinamica dei
costi, che ha determinato aumenti dal 30 al 70% per la maggior
parte dei mezzi di produzione, richiede attenzione in sede
di contrattazione con il cliente: non è accettabile il principio
che l’impresa agromeccanica possa andare in crisi per non
avere potuto adeguare i suoi prezzi. Dove questo è accaduto
– come in Sud America, tanti anni fa – i governi successivi
dovettero istituire servizi di promozione dell’iniziativa privata
per ricostituire il contoterzismo di cui l’agricotura aveva (ed
ha ancora, pure qui da noi) un disperato bisogno.
Non possiamo e non vogliamo arrivare a questo: bisogna superare
le logiche egoistiche e di bottega e ragionare in termini
di filiere produttive. Un ragionamento che in Italia si comincia
già a fare – come hanno dimostrato le iniziative avviate dalla
maggiore Organizzazione agricola – e prevede il coinvolgimento
nella filiera produttiva delle imprese agromeccaniche,
vero motore dell’agricoltura.
Il ruolo dell’Associazione è sempre più importante, sia per le
indicazioni su come comportarsi di fronte agli aumenti dei
costi di produzione, sia per creare, o ricreare, quella rete di
relazioni fra le aziende fondata sulle reciproche responsabilità
all’interno delle filiere. Se vogliamo salvarci, come crediamo sia
giusto per il bene del nostro Paese, potremo farlo solo stando
tutti insieme.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI