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Nonostante le attività agricole siano state esentate da
blocchi e provvedimenti di contenimento, grazie al
naturale distanziamento sociale che le caratterizza anche
in condizioni normali, il settore agromeccanico ha dovuto
incassare vari colpi che, se non lo hanno mandato al tappeto,
hanno lasciato un segno.
Le misure anti contagio, per esempio, hanno potuto beneficiare
di un intervento statale, limitato però ai costi direttamente sostenuti
per i prodotti disinfettanti e i dispositivi di protezione individuale
e collettiva. Non hanno però portato alcun aiuto riguardo
agli oneri indiretti, legati ai tempi di pulizia e disinfezione dei posti
di guida o all’allungamento dei tempi nello svolgimento di operazioni
che normalmente si avvalgono di più persone. Tutti fattori
negativi che hanno in qualche modo ridotto la produttività del
lavoro e delle aziende, senza contare le inevitabili assenze per
malattia o per quarantena, in un settore in cui il lavoro a distanza
non è realizzabile. Il passaporto sanitario, al di là delle critiche,
deve essere visto come uno strumento per consentire il ritorno
alla normalità; se le statistiche dell’anno scorso mostravano una
lieve contrazione – dell’ordine dello 0,1% – del fatturato delle
imprese agromeccaniche, le prime proiezioni sull’anno in corso
mostrano già i primi segnali di ripresa, sia in termini di fatturato
che di investimenti.
In tale ambito è stato determinante il credito d’imposta, che ha
incoraggiato gli agromeccanici a investire sull’alta tecnologia,
con un incremento che a fine anno dovrebbe superare i 100
milioni; ma ha dato fiato anche all’industria della meccanizzazione,
che in questi giorni sta mostrando in Eima il meglio di sé.
Ora che finalmente stiamo cercando di riguadagnare il terreno
perduto, altre nubi si accumulano all’orizzonte, dalle difficoltà di
reperimento dei pezzi di ricambio alle incertezze climatiche e
di mercato.
La pandemia, come ha acutamente osservato qualche commentatore,
ha evidenziato le debolezze del nostro sistema
produttivo, che per troppo tempo ha coltivato il sogno della
globalizzazione e della delocalizzazione, perdendo di vista
l’obiettivo strategico della sicurezza degli approvvigionamenti.
L’agricoltura italiana ha scoperto all’improvviso che l’industria
nazionale non riesce a coprire i fabbisogni, così come si era rivelata
inadeguata rispetto agli elementari, ma necessari, dispositivi
medici; che non produce più le materie prime che stanno alla
base della produzione industriale. Basta una semplice turbativa
del mercato – come i ritardi dovuti alla pandemia – per mettere
in crisi la catena logistica e determinare improvvisi sbalzi di
prezzi dovuti a temporanee carenze di questo o di quel fattore
produttivo; mentre una parte del mondo si espande rapidamente,
altre aree manifestano difficoltà di ripresa, determinando
uno spostamento dei bisogni e delle forniture nel tempo e nello
spazio.
In altri tempi il succedersi di epidemie e carestie poteva incidere
sulla sopravvivenza di interi popoli: in questo senso la comunicazione
e la globalizzazione ci aiutano a superare le difficoltà
senza cadere nei drammi del passato. Restano però gli effetti di
una stagione estiva decisamente secca, che ha depresso le rese
di numerosi prodotti agricoli, con scarse possibilità di correzione:
le colture a ciclo estivo, vitali per il sostegno della nostra zootecnia
e del “made in Italy” hanno sofferto una grave crisi produttiva
che non verrà compensata dal buon andamento dei prezzi. I
cereali vernini hanno in parte sostenuto i redditi agricoli grazie
alle quotazioni elevate, ma nell’insieme non si potrà definire
una buona annata, senza contare i numerosi eventi calamitosi
che ormai dobbiamo considerare come ordinari. Al di là degli
strumenti di gestione del rischio, ancora migliorabili, le aziende
agricole possono contare da qualche anno su una tassazione
agevolata, che tiene conto degli effetti dei cambiamenti climatici.
Ma per gli agromeccanici non esiste nessuno di questi ammortizzatori:
in presenza di crolli produttivi dovuti a calamità
naturali manca tuttora la possibilità di una copertura assicurativa
che consenta di assorbire i costi già sostenuti, a fronte dei quali
mancheranno i ricavi. Se sul piano fiscale le imprese sono tassate
a bilancio, la possibilità di chiudere l’anno in perdita è puramente
teorica, perché soggetta a limitazioni estremamente punitive,
oltre alla necessità di doverne rendere conto al fisco.
Nonostante queste difficoltà oggettive, alle quali la politica non
è riuscita finora a dare risposte concrete, le imprese agromeccaniche
continuano a espandere la loro attività di supporto
all’agricoltura. Un ruolo di sostegno e di propulsione verso
l’innovazione che ha consentito la sopravvivenza del modello
sociale e produttivo che sta alla base delle nostre eccellenze
agroalimentari, evitando che questo patrimonio diventasse
preda della speculazione immobiliare e della globalizzazione
alimentare. Non vogliamo essere ringraziati, ma rivendichiamo
con orgoglio il nostro ruolo.
• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI