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Se il ventesimo secolo, con il suo drammatico corollario
di guerre e conflitti, è passato alla storia come quello
del trionfo e della sconfitta delle ideologie, per cosa sarà
ricordata l’era in cui stiamo vivendo?
Il secolo della libertà? Forse, ma le cronache, per poco che ci
si allontani dall’Europa, mostrano un quadro piuttosto diverso
dal nostro, che pure manifesta le sue criticità per un uso troppo
personale della libertà, che rischia di riportare indietro le lancette
del progresso. Probabilmente stiamo vivendo una crisi di
valori: la fretta di liberarsi dei fantasmi del passato ci ha portato
ad un rifiuto di tutto ciò che non era compatibile con la crescita
economica, con il benessere, con il mercato.
Gli effetti sulla politica stanno diventando sempre più evidenti,
perché la mancanza di un progetto a lungo termine, svincolato
dall’immediato soddisfacimento dei bisogni (economici,
elettorali ecc.) comincia a farsi sentire non solo nelle scelte, ma
anche nei programmi. Il banco di prova a livello europeo è stato
il programma noto come Next Generation UE, che si realizzerà
attraverso i due strumenti noti come Dispositivo per la Ripresa
e Resilienza (RRF) e come Pacchetto di assistenza REACT-EU,
che finanzieranno il nostro Piano nazionale (PNRR).
Le risorse del solo RRF ammontano ad oltre 191 miliardi per
il periodo 2021-2026, di cui quasi 69 per contributi a fondo
perduto ed oltre 122 di prestiti; a questi si aggiungono altri 13
miliardi del REACT-EU ed una trentina di miliardi del Fondo
complementare, per un totale di oltre 235 miliardi di euro.
Una somma astronomica che, se ben investita, potrebbe riportare
il nostro Paese fra le grandi potenze economiche continentali,
e non solo. Confidiamo nelle grandi capacità del nostro
Presidente del Consiglio per indirizzare le risorse secondo un
piano strategico di lungo termine, anche allo stato attuale non
si è ancora raggiunto un pieno accordo sulla destinazione delle
risorse.
Mentre infatti la quasi totalità degli stati membri dell’Unione aveva
le idee ben chiare fin dai primi mesi di quest’anno – alcuni dei
quali si sono presi il lusso di rifiutare gli aiuti comunitari, perché
avevano già pensato a crearsi una riserva per i tempi duri – in
Italia è a lungo mancato un accordo strategico.
Nonostante se ne siano sentite di tutti i colori, il PNRR approvato
sembra volersi lasciare aperte tutte le porte ed il rischio
che i fondi vengano spesi senza un progetto di lungo respiro è
realmente presente.
Per esempio, non si dice come l’agricoltura dovrà svilupparsi:
quali saranno i soggetti che si incaricheranno di diffondere
l’innovazione? Le solite aziende-modello, nuove cattedrali nel
deserto o l’erogazione di fondi a pioggia, che si risolveranno in
acquisti inutili e nuovi sprechi?
Non una parola sulle imprese agromeccaniche, che possono
portare l’innovazione a tutte le aziende agricole, in modo
completo e capillare, senza lasciare fuori nessuno ed elevando
la qualità dei processi produttivi.
Se non si affronterà la transizione in modo pragmatico, si rischia
nuovamente di polverizzare l’azione su interventi fine a
sé stessi, chiusi nei ristretti confini di singole aziende agricole,
senza incidere realmente sullo sviluppo dei territori e delle filiere.
Nel frattempo, gli agromeccanici non stanno a guardare e spingono
su tutte le forze politiche per qualificare e la categoria attraverso
la creazione di un albo, sia a livello regionale sia a quello
nazionale, in vista di quella che sarà la vera sfida dell’agricoltura,
tracciare in modo univoco la qualità globale del processo.
Per fare questo ci vuole professionalità, da parte delle imprese,
per battere la concorrenza sleale di chi crede che basti un
trattore per fare un agromeccanico; e ci vuole nel contempo
l’indispensabile sostegno della politica per gettare le basi – attraverso
gli albi – per una generale qualificazione dei servizi
all’agricoltura.
L’occasione del PNRR si completa, nel prossimo futuro, con
l’adozione delle nuove misure di politica agricola, comunitaria,
nazionale e regionale, che deve essere indirizzata non solo alla
tutela dell’ambiente, ma anche a garantire quel bene, di comune
interesse, che è la disponibilità di prodotti buoni, garantiti e
socialmente compatibili. I consumatori, principali contribuenti
della PAC, devono poter contare su questi valori e ci auguriamo
che il registro delle produzioni cerealicole, ormai in dirittura
d’arrivo, possa costituire uno strumento di trasparenza e non
sia limitato ad un nuovo ostacolo burocratico.
Di questo parleremo alle rappresentanze sindacali ed alle figure
istituzionali che incontreremo alla nostra assemblea nazionale,
il prossimo 19 giugno, per chiedere condivisione, sostegno e
appoggio.
• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI