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Nonostante le attività al servizio delle filiere agricole non
abbiano subito interruzioni o sospensioni a seguito
dell’emergenza sanitaria, le imprese agromeccaniche
si trovano ad affrontare varie criticità legate alla situazione
contingente.
Questo almeno formalmente perché, se l’agricoltura non ha
subito effetti diretti dal blocco dello scorso anno o dal succedersi
di “zone rosse” dell’ultimo semestre, l’adozione di nuove
procedure di lavoro legate al contenimento del contagio ha
comportato un aumento dei costi.
Costi che non sempre possono mai essere del tutto recuperati,
e il credito d’imposta istituito dal governo precedente lo ha
dimostrato: in una filiera chiusa come quella agricola, dove i
prezzi sono determinati da chi ne gestisce gli ultimi passaggi,
non rimane margine di manovra.
Negli altri sistemi produttivi, che si distinguono per un più alto
livello di integrazione, un blocco nella logistica, per quanto
temporaneo, si riverbera immediatamente sui mercati, mai
tanto reattivi quanto in questo momento storico.
L’adozione dei modelli matematici di previsione a breve e medio
termine sta spostando all’indietro le lancette dell’orologio, nel
senso che gli effetti di un fattore negativo cominciano a farsi
sentire ancor prima che questo si verifichi davvero.
Un esempio di questa tendenza è data dalla carenza di semilavorati
e componenti manifestata dall’industria – da cui
possono dipendere i tempi di consegna di parti di ricambio e
macchinari – ma le cui origini non appaiono del tutto chiare.
Come sta accadendo per altri fenomeni planetari – dall’inquinamento
al riscaldamento globale – non è possibile attribuire
ai fenomeni una precisa responsabilità, anche se la tendenza
a ridurre le scorte sostenuta da alcuni economisti ha mostrato
i propri limiti.
La crisi pandemica ci ha mostrato che bisogna pensare al
peggio ed attrezzarsi di conseguenza, per gestire, senza subirlo
passivamente, il rischio di una carenza (famosa, quella
di presidi medici che si verificò) con effetti imprevedibili sui
mercati. Come puntualmente osserva la FAO nel suo report
mensile, da quasi un anno i prezzi delle derrate alimentari sono
in aumento, con punte mensili ben superiori all’unità (+2,1%) da
febbraio a marzo.
Le medie sono utili per valutare le tendenze, ma devono essere
analizzate nei dettagli: se i prodotti derivati come oli vegetali,
latte e carne trainano il settore, quelli primari – come i cereali
– sono in costante flessione.
Un segnale negativo? Non saremmo così pessimisti: le rilevazioni
sulle vendite di generi alimentari con caratteristiche –
origine delle materie prime, gestione agricola (convenzionale
o biologica), presenza o assenza di qualcosa – dimostrano che
la qualità non paga solo sullo scaffale, ma anche i primi anelli
della catena.
Tuttavia, gli strumenti per garantire l’origine appaiono del tutto
inadeguati e solo l’intervento della politica, tempestivamente
segnalata da CAI (prima di tutti gli altri), potrà rimediare ad una
norma che rischierebbe di penalizzare la produzione primaria,
dagli agricoltori agli agromeccanici. Gli strumenti per tracciare
le produzioni agricole esistono già: gli agromeccanici impiegano,
ormai da anni, macchine capaci di rilevare la posizione
che consentono di certificare chi ha prodotto cosa, e con quali
modalità.
Nella maggior parte dei casi, questi dati non vengono raccolti
e conservati solo per mancanza di un interesse economico da
parte degli agromeccanici, perché raccogliere, conservare ed
elaborare i dati ha un costo che deve riflettersi sulla produzione.
Senza alcun bisogno di varare programmi faraonici dagli esiti
incerti né di emanare nuove norme repressive, bisogna incentivare
l’agricoltore a fornire una dimostrazione di come ha
lavorato, grazie alla “dichiarazione del terzo” (supportata dai dati)
rilasciata dall’impresa agromeccanica.
Bisogna inoltre rendersi conto che lo strumento delle sviluppo
rurale può realizzare i suoi obiettivi proprio sulla certificazione
della qualità del processo: per aderire ad una blockchain non
bastano semplici attestazioni verbali, ma ci vuole il supporto
di dati certi.
Agendo, con opportuni strumenti di incentivo, su chi rileva ed
elabora questi dati si può arrivare a tracciare quel 90% di produzioni
che oggi, come rileva l’Istat, le imprese agromeccaniche
oggi raccolgono sui seminativi, e quel 70% raccolto nelle colture
legnose, vite, olivo e frutta in guscio.
Arrivare a tracciare i prodotti agricoli sarebbe già un bel risultato,
ma per farlo bisogna agire sulle imprese agromeccaniche, le
sole che possono trasferire innovazione e conoscenza non solo
alle aziende strutturate, ma a quella miriade di piccole realtà
finora escluse dallo sviluppo rurale.
• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI