Un avvio difficile per la campagna 2021. E la politica che fa?

Nonostante le attività al servizio delle filiere agricole non

abbiano subito interruzioni o sospensioni a seguito

dell’emergenza sanitaria, le imprese agromeccaniche

si trovano ad affrontare varie criticità legate alla situazione

contingente.

Questo almeno formalmente perché, se l’agricoltura non ha

subito effetti diretti dal blocco dello scorso anno o dal succedersi

di “zone rosse” dell’ultimo semestre, l’adozione di nuove

procedure di lavoro legate al contenimento del contagio ha

comportato un aumento dei costi.

Costi che non sempre possono mai essere del tutto recuperati,

e il credito d’imposta istituito dal governo precedente lo ha

dimostrato: in una filiera chiusa come quella agricola, dove i

prezzi sono determinati da chi ne gestisce gli ultimi passaggi,

non rimane margine di manovra.

Negli altri sistemi produttivi, che si distinguono per un più alto

livello di integrazione, un blocco nella logistica, per quanto

temporaneo, si riverbera immediatamente sui mercati, mai

tanto reattivi quanto in questo momento storico.

L’adozione dei modelli matematici di previsione a breve e medio

termine sta spostando all’indietro le lancette dell’orologio, nel

senso che gli effetti di un fattore negativo cominciano a farsi

sentire ancor prima che questo si verifichi davvero.

Un esempio di questa tendenza è data dalla carenza di semilavorati

e componenti manifestata dall’industria – da cui

possono dipendere i tempi di consegna di parti di ricambio e

macchinari – ma le cui origini non appaiono del tutto chiare.

Come sta accadendo per altri fenomeni planetari – dall’inquinamento

al riscaldamento globale – non è possibile attribuire

ai fenomeni una precisa responsabilità, anche se la tendenza

a ridurre le scorte sostenuta da alcuni economisti ha mostrato

i propri limiti.

La crisi pandemica ci ha mostrato che bisogna pensare al

peggio ed attrezzarsi di conseguenza, per gestire, senza subirlo

passivamente, il rischio di una carenza (famosa, quella

di presidi medici che si verificò) con effetti imprevedibili sui

mercati. Come puntualmente osserva la FAO nel suo report

mensile, da quasi un anno i prezzi delle derrate alimentari sono

in aumento, con punte mensili ben superiori all’unità (+2,1%) da

febbraio a marzo.

Le medie sono utili per valutare le tendenze, ma devono essere

analizzate nei dettagli: se i prodotti derivati come oli vegetali,

latte e carne trainano il settore, quelli primari – come i cereali

– sono in costante flessione.

Un segnale negativo? Non saremmo così pessimisti: le rilevazioni

sulle vendite di generi alimentari con caratteristiche –

origine delle materie prime, gestione agricola (convenzionale

o biologica), presenza o assenza di qualcosa – dimostrano che

la qualità non paga solo sullo scaffale, ma anche i primi anelli

della catena.

Tuttavia, gli strumenti per garantire l’origine appaiono del tutto

inadeguati e solo l’intervento della politica, tempestivamente

segnalata da CAI (prima di tutti gli altri), potrà rimediare ad una

norma che rischierebbe di penalizzare la produzione primaria,

dagli agricoltori agli agromeccanici. Gli strumenti per tracciare

le produzioni agricole esistono già: gli agromeccanici impiegano,

ormai da anni, macchine capaci di rilevare la posizione

che consentono di certificare chi ha prodotto cosa, e con quali

modalità.

Nella maggior parte dei casi, questi dati non vengono raccolti

e conservati solo per mancanza di un interesse economico da

parte degli agromeccanici, perché raccogliere, conservare ed

elaborare i dati ha un costo che deve riflettersi sulla produzione.

Senza alcun bisogno di varare programmi faraonici dagli esiti

incerti né di emanare nuove norme repressive, bisogna incentivare

l’agricoltore a fornire una dimostrazione di come ha

lavorato, grazie alla “dichiarazione del terzo” (supportata dai dati)

rilasciata dall’impresa agromeccanica.

Bisogna inoltre rendersi conto che lo strumento delle sviluppo

rurale può realizzare i suoi obiettivi proprio sulla certificazione

della qualità del processo: per aderire ad una blockchain non

bastano semplici attestazioni verbali, ma ci vuole il supporto

di dati certi.

Agendo, con opportuni strumenti di incentivo, su chi rileva ed

elabora questi dati si può arrivare a tracciare quel 90% di produzioni

che oggi, come rileva l’Istat, le imprese agromeccaniche

oggi raccolgono sui seminativi, e quel 70% raccolto nelle colture

legnose, vite, olivo e frutta in guscio.

Arrivare a tracciare i prodotti agricoli sarebbe già un bel risultato,

ma per farlo bisogna agire sulle imprese agromeccaniche, le

sole che possono trasferire innovazione e conoscenza non solo

alle aziende strutturate, ma a quella miriade di piccole realtà

finora escluse dallo sviluppo rurale.

• Gianni Dalla Bernardina

Presidente CAI