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La Confederazione che ho l’onore di rappresentare ha
finalmente completato il processo di riunificazione fra le
sue due anime originarie – Unima e Confai – iniziato a
maggio 2017, grazie al lavoro del direttivo tecnico che ha reso
possibile l’integrazione anche a livello territoriale.
Ora, con l’elezione di un Consiglio nazionale più rappresentativo
sindacalmente e geograficamente, gli agromeccanici possono
guardare al futuro con rinnovata speranza, in un momento
storico reso più difficile dalla pandemia che sta conoscendo una
nuova fase di espansione.
Fra i fattori positivi metterei al primo posto la nuova coalizione
governativa che, per quanto eterogenea, dovrebbe garantire
stabilità, anche per l’indiscusso prestigio personale e professionale
del Presidente Draghi.
Per quanto riguarda le principali istanze degli agromeccanici,
non possiamo che essere soddisfatti della nuova compagine: di
governo, che vede figure importanti e con esperienza specifica
nei ministeri chiave, dalle Politiche agricole, alle Infrastrutture e
Trasporti. Gli aspetti legati alla mobilità sono fondamentali per le
imprese di servizi all’agricoltura: basta che un qualunque ostacolo
si opponga al rapido raggiungimento dei terreni oggetto
di lavorazione per creare un disservizio di cui non fa le spese
solo l’agromeccanico, ma tutta la filiera agricola.
Un concetto che nel passato è stato difficile da comprendere,
che potrebbe godere di un insospettato aiuto grazie alle competenze
dell’attuale Ministro delle politiche agricole, Stefano
Patuanelli, su cui contiamo per risolvere piccoli e grandi ostacoli
burocratici che scaturiscono da una visione limitata e parziale
che ci auguriamo possa essere superata.
Ma con il Ministro dovremo affrontare questioni ancor più
importanti per il futuro della categoria, in prima istanza, e della
competitività del sistema agricolo, in prospettiva.
La declinazione nazionale delle politiche agricole comunitarie
in senso ambientale ed economico rischia di restare lettera
morta se non si coinvolgono direttamente le imprese agromeccaniche.
Rispetto a quanto avveniva, forse semplicisticamente,
nel passato, all’unione europea non basta più sapere che un
certo numero di aziende agricole ha acquistato certe attrezzature
specifiche ed ha regolarmente rendicontato la spesa,
se poi non se ne vedono gli effetti a livello macroeconomico.
L’Italia ha qualche grande azienda di punta, ma sono mosche
bianche; per arrivare a coprire una quota misurabile della SAU
nazionale ci vogliono interventi strutturali, piuttosto che individuali,
capaci di portare l’innovazione oltre il cancello della
cascina. Destinare una parte, anche piccola, dei fondi alle imprese
agromeccaniche avrebbe un effetto che si moltiplica per
tutti i clienti, riuscendo a raggiungere quelle imprese che per
mancanza di risorse, di cultura o di opportunità non hanno mai
avuto accesso ai sostegni pubblici, né mai lo avranno.
Ancora troppo spesso, i piani di sviluppo aziendale sono strutturati
dai consulenti con l’unico obiettivo di “andare a contributo”,
grazie al ricorso ad impegni destinati già in partenza ad essere
disattesi. Questo spiega perché dopo quasi 3 decenni di piani di
sviluppo rurale, non sia misurabile un effetto sulla competitività
dell’agricoltura italiana che, a dispetto dell’impegno finanziario
profuso, rimane strutturalmente più debole rispetto a quella di
altri Paesi membri.
Queste istanze saranno portate all’attenzione del Ministro Patuanelli,
che si è reso subito disponibile: a fine mese gli esporremo
le nostre proposte, che non sono finalizzate solo all’accesso
ai fondi pubblici. Ogni beneficio accordato agli agromeccanici
– dall’agevolazione sul gasolio, ai credito d’imposta, fino alle
semplificazioni amministrative – si riverbera, per la proprietà
transitiva, sulle aziende agricole clienti. Se un agromeccanico
gode di una qualsiasi facilitazione – economica, finanziaria o
organizzativa – si può stare certi che non verrà tesaurizzata,
ma subito reinvestita per dare al cliente un servizio migliore.
Se si pretendesse invece di diffondere tecniche innovative,
come le lavorazioni sito specifiche, l’agricoltura “verde” o a ridotto
impatto ambientale, senza passare attraverso gli agromeccanici
– che intervengono su oltre metà della SAU nazionale, ogni
programma di sviluppo è destinato a restare nel libro dei sogni.
Oltre alla disponibilità mostrata da Ministro, altri segnali fanno
ben sperare, a partire dall’ulteriore proroga della validità dei
certificati di collaudo delle irroratrici e dei patentini, già anticipata
con la circolare del 22 febbraio e ora confermata dalla
conversione in legge del decreto Milleproroghe.
Ma il cammino verso lo snellimento della burocrazia è ancora
lungo, a partire dal discusso e discutibile registro telematico
delle giacenze di cereali, introdotto fra capo e collo in sede di
emanazione della legge di bilancio (che CAI aveva prontamente
segnalato), fino ai tanti problemi aperti in tema di circolazione.
Ci sarà da lavorare.
• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI