Benefici e sgravi per gli agricoltori, e per gli agromeccanici?

La legge di bilancio per il 2021 presenta, fra i tanti provvedimenti,

due notevoli agevolazioni che avvantaggiano gli

agricoltori iscritti all’Inps nella gestione dei coltivatori diretti,

oltre a riproporre lo sgravio contributivo per i giovani agricoltori.

Un trattamento che crea evidenti disparità nell’ambito della

filiera agricola: chi versa i contributi in una certa gestione non

paga le tasse sui redditi che produce, mentre chi li versa in altre

gestioni (ma sempre all’Inps) paga fino all’ultimo centesimo.

Tale trattamento suscita diversi dubbi di legittimità: sul piano

costituzionale, perché l’artigiano, il commerciante o il professionista

che esercitano le rispettive attività non godono degli

stessi sgravi; su quello comunitario perché potrebbe incidere

sulla libera concorrenza.

Questo riguarda specialmente gli agromeccanici, pure compresi

nella filiera agricola dalle norme attuative della cosiddetta

“legge di orientamento”, che li accomuna agli agricoltori in

diverse attività, per i quali l’aspetto concorrenziale assume un

peso determinante.

Perché l’agricoltore non paga le tasse sui redditi agricoli ed il

contoterzista sì, se svolge la stessa attività? Al di là del diverso

inquadramento previdenziale, fanno forse cose diverse o mestieri

diversi?

Per quale motivo il “giovane agricoltore” non deve pagare i contributi

Inps (che gli vengono ugualmente riconosciuti), mentre

il “giovane agromeccanico” li paga, e non in misura fissa, ma

proporzionale al reddito percepito?

Intendiamoci, ci può stare un indennizzo a chi ha subito danni

da fattori straordinari, ma non un beneficio a pioggia che, trattando

tutti allo stesso modo, rende più acuta l’ingiustizia nei

confronti di chi ci ha davvero rimesso. Nonostante tutto, però,

il governo sostiene solo gli agricoltori, dimenticando che nella

filiera agricola sono coinvolti tanti altri soggetti, fra cui proprio

le imprese agromeccaniche.

A questo punto, considerato che da diversi anni i listini dei prezzi

delle lavorazioni agromeccaniche sono stati tenuti fermi, o non

hanno recuperato tutti gli aumenti subiti dai costi di produzione,

le imprese di servizi si troveranno costrette ad aumentare

i prezzi.

Una decisione sofferta ma necessaria, considerato il silenzio e

il disinteresse del governo.

Un esecutivo di cui dobbiamo certamente riconoscere l’impegno

in altri settori – come la lotta alla pandemia in corso – ma

che non sembra impegnarsi a sufficienza sul fronte dello sviluppo

di quelle attività che pure sono state riconosciute come

strategiche per il Paese.

Questo vale sia sul fronte interno, sia nelle trattative in ambito

comunitario.

L’agricoltura europea, ed in particolare quella italiana, non si

identifica con gli scenari prefigurati da coloro che hanno progettato

le nuove politiche comunitarie, dal Green New Deal al

Farm to Fork.

Non si può chiedere agli agricoltori ed agli agromeccanici (che

ormai lavorano in proprio un quinto della superficie a seminativi,

e buona parte di quella restante come contoterzisti) di

rimediare agli errori commessi da altri settori produttivi.

Dovremo forse abbattere i nostri oliveti centenari per fare posto

ai patetici prati e boschetti proposti da “esperti” accecati da

posizioni ideologiche? Dovremo chiudere le stalle e diventare

tutti vegani, rinunciando alla cultura del cibo che distingue la

civiltà dalla barbarie? Dovremo lasciare le foreste alla mercé

della prossima “tempesta perfetta”, per non toccare gli alberi?

Non è l’agricoltura che inquina, ricordiamocelo bene; certamente

c’è margine per migliorare, ma non si può paragonare

un campo di grano ad un’autostrada.

L’agricoltura deve ridurre il consumo di risorse naturali, ma

mantenere il proprio ruolo strategico di fonte della produzione

primaria; chi propone soluzioni alternative dimentica che gli

impianti solari più efficienti ed ecocompatibili sono proprio

le piante.

L’imperativo è produrre meglio – in quantità e qualità – impiegando

meno risorse. Su questo fronte le imprese agromeccaniche

sono impegnate in prima linea, e non da oggi, perché

l’agricoltura più efficiente e sostenibile sul piano ambientale

ed energetico è anche quella che offre il miglior rendimento

economico.

Il futuro è già cominciato e gli agromeccanici sono all’avanguardia,

svolgendo servizi a forte contenuto innovativo, come le

tecniche conservative e l’agricoltura di precisione, non limitate

solo alle aziende di punta, ma a tutti i produttori grandi e piccoli.

La politica, però, deve fare la sua parte e rimediare alle ingiustizie

del passato (e non solo...), riconoscendo le funzioni di tutte le

imprese della filiera agricola e distribuendo le risorse pubbliche

in funzione di ciò che davvero si fa, senza privilegi di casta.

• Gianni Dalla Bernardina

Presidente CAI