Pubblicato
![](http://caiagromec.it/sites/unima.it/files/styles/medium/public/field/image/gdb_38.png?itok=-dkFY9ls)
La legge di bilancio per il 2021 presenta, fra i tanti provvedimenti,
due notevoli agevolazioni che avvantaggiano gli
agricoltori iscritti all’Inps nella gestione dei coltivatori diretti,
oltre a riproporre lo sgravio contributivo per i giovani agricoltori.
Un trattamento che crea evidenti disparità nell’ambito della
filiera agricola: chi versa i contributi in una certa gestione non
paga le tasse sui redditi che produce, mentre chi li versa in altre
gestioni (ma sempre all’Inps) paga fino all’ultimo centesimo.
Tale trattamento suscita diversi dubbi di legittimità: sul piano
costituzionale, perché l’artigiano, il commerciante o il professionista
che esercitano le rispettive attività non godono degli
stessi sgravi; su quello comunitario perché potrebbe incidere
sulla libera concorrenza.
Questo riguarda specialmente gli agromeccanici, pure compresi
nella filiera agricola dalle norme attuative della cosiddetta
“legge di orientamento”, che li accomuna agli agricoltori in
diverse attività, per i quali l’aspetto concorrenziale assume un
peso determinante.
Perché l’agricoltore non paga le tasse sui redditi agricoli ed il
contoterzista sì, se svolge la stessa attività? Al di là del diverso
inquadramento previdenziale, fanno forse cose diverse o mestieri
diversi?
Per quale motivo il “giovane agricoltore” non deve pagare i contributi
Inps (che gli vengono ugualmente riconosciuti), mentre
il “giovane agromeccanico” li paga, e non in misura fissa, ma
proporzionale al reddito percepito?
Intendiamoci, ci può stare un indennizzo a chi ha subito danni
da fattori straordinari, ma non un beneficio a pioggia che, trattando
tutti allo stesso modo, rende più acuta l’ingiustizia nei
confronti di chi ci ha davvero rimesso. Nonostante tutto, però,
il governo sostiene solo gli agricoltori, dimenticando che nella
filiera agricola sono coinvolti tanti altri soggetti, fra cui proprio
le imprese agromeccaniche.
A questo punto, considerato che da diversi anni i listini dei prezzi
delle lavorazioni agromeccaniche sono stati tenuti fermi, o non
hanno recuperato tutti gli aumenti subiti dai costi di produzione,
le imprese di servizi si troveranno costrette ad aumentare
i prezzi.
Una decisione sofferta ma necessaria, considerato il silenzio e
il disinteresse del governo.
Un esecutivo di cui dobbiamo certamente riconoscere l’impegno
in altri settori – come la lotta alla pandemia in corso – ma
che non sembra impegnarsi a sufficienza sul fronte dello sviluppo
di quelle attività che pure sono state riconosciute come
strategiche per il Paese.
Questo vale sia sul fronte interno, sia nelle trattative in ambito
comunitario.
L’agricoltura europea, ed in particolare quella italiana, non si
identifica con gli scenari prefigurati da coloro che hanno progettato
le nuove politiche comunitarie, dal Green New Deal al
Farm to Fork.
Non si può chiedere agli agricoltori ed agli agromeccanici (che
ormai lavorano in proprio un quinto della superficie a seminativi,
e buona parte di quella restante come contoterzisti) di
rimediare agli errori commessi da altri settori produttivi.
Dovremo forse abbattere i nostri oliveti centenari per fare posto
ai patetici prati e boschetti proposti da “esperti” accecati da
posizioni ideologiche? Dovremo chiudere le stalle e diventare
tutti vegani, rinunciando alla cultura del cibo che distingue la
civiltà dalla barbarie? Dovremo lasciare le foreste alla mercé
della prossima “tempesta perfetta”, per non toccare gli alberi?
Non è l’agricoltura che inquina, ricordiamocelo bene; certamente
c’è margine per migliorare, ma non si può paragonare
un campo di grano ad un’autostrada.
L’agricoltura deve ridurre il consumo di risorse naturali, ma
mantenere il proprio ruolo strategico di fonte della produzione
primaria; chi propone soluzioni alternative dimentica che gli
impianti solari più efficienti ed ecocompatibili sono proprio
le piante.
L’imperativo è produrre meglio – in quantità e qualità – impiegando
meno risorse. Su questo fronte le imprese agromeccaniche
sono impegnate in prima linea, e non da oggi, perché
l’agricoltura più efficiente e sostenibile sul piano ambientale
ed energetico è anche quella che offre il miglior rendimento
economico.
Il futuro è già cominciato e gli agromeccanici sono all’avanguardia,
svolgendo servizi a forte contenuto innovativo, come le
tecniche conservative e l’agricoltura di precisione, non limitate
solo alle aziende di punta, ma a tutti i produttori grandi e piccoli.
La politica, però, deve fare la sua parte e rimediare alle ingiustizie
del passato (e non solo...), riconoscendo le funzioni di tutte le
imprese della filiera agricola e distribuendo le risorse pubbliche
in funzione di ciò che davvero si fa, senza privilegi di casta.
• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI