Dipendenti agromeccanici sono lavoratori agricoli: premiata l’attività di Cai

L’inquadramento dell’attività agromeccanica ha
sempre costituito motivo di discussione, e talvolta
di disaccordo, fra chi sosteneva che si dovesse
guardare al soggetto che la esercita e chi invece riteneva,
con un atteggiamento più pragmatico, che fosse
l’attività oggettivamente svolta a determinarne l’esatta
natura.
La prima corrente di pensiero ha portato nel tempo a
risultati singolari, come quello di consentire a determinati
soggetti di esercitare attività diverse, intimamente
connesse a quella principale, senza rispettare le stesse
regole a cui esse sarebbero normalmente soggette.
Seguendo questa impostazione diventa legittimo perfino
un diverso trattamento amministrativo e fiscale fra
aziende che fanno lo stesso lavoro: l’impresa agricola
può svolgere attività agromeccanica, e il fisco l’aiuta;
ma l’impresa agromeccanica non ha alcuna agevolazione
se vuole gestire un’azienda agricola. Da qualche
tempo prevale un criterio diverso, in cui la natura di
un soggetto economico è determinata da da ciò che
fa: colui che opera in un contesto agricolo, gestendo
e curando un ciclo biologico o una fase di esso, deve
essere riconosciuto come agricoltore.
In ambito previdenziale è stato più facile superare il
vincolo soggettivo, che pure ha accompagnato la nostra
storia per tanti anni, perché le problematiche a cui
gli istituti previdenziali devono rispondere sono legate
a ciò che la persona fa, o ha fatto, nella sua vita.
Come la nostra amata Repubblica è costituzionalmente
fondata sul lavoro, così il lavoro che tutti noi facciamo
diventa l’elemento di giudizio per dichiarare chi
siamo e per trattarci di conseguenza.
Il legislatore del lavoro ha ben compreso questa impostazione,
che si è concretizzata per esempio nella
legge 92 del 1979, che fin dall’inizio aveva stabilito che
i lavoratori dipendenti dovessero essere inquadrati, dal
punto di vista delle tutele previdenziali ed assicurative,
in relazione all’attività effettivamente svolta. Non
conta, secondo la legge, quale possa essere l’attività
dichiarata dall’impresa, che magari trae la propria ragione
di vita da altri settori, quanto piuttosto ciò che il
lavoratore materialmente fa, le mansioni che gli sono
state affidate ed il contesto in cui le svolge.
Nonostante la decisa presa di posizione del legislatore,
a livello applicativo la norma ha tardato parecchio ad
affermarsi, tanto che l’Inps è dovuto intervenire con

ripetute disposizioni specifiche, prima nel 2009, poi,
da ultimo, con la circolare n. 56 del 23 aprile scorso.
Secondo tali disposizioni i lavoratori dipendenti delle
imprese agromeccaniche devono essere trattati come
lavoratori agricoli, quando sono addetti a operazioni
agricole; lavorazioni che erano state codificate già da
tempo nella stessa definizione di “attività agromeccanica”
data dal decreto legislativo n. 99/2004.
Un risultato questo che premia l’attività di Cai per arrivare
a una definizione univoca e valida su tutto il
territorio nazionale. Nonostante i ripetuti tentativi di
assimilarli ai settori dell’industria e delle costruzioni, i
dipendenti degli agromeccanici sono stati considerati
fin dall’inizio come “lavoratori del settore agricolo”
ai fini della formazione professionale specifica per la
conduzione dei mezzi agricoli.
L’inquadramento del personale dipendente non muta,
per ora, la natura dell’impresa agromeccanica: se questa
è definita come impresa di servizi, artigiana o no,
tale resta a tutti gli effetti, compreso il regime previdenziale
del titolare, dei collaboratori familiari e dei
soci delle società.
Tuttavia, la nuova impostazione apre qualche spiraglio
anche rispetto ad un diverso riconoscimento del ruolo
dell’agromeccanico, perché se si guarda a ciò che
materialmente fa, nel suo quotidiano lavoro in favore
dell’agricoltura, si può concretizzare una natura diversa.
Parafrasando Feuerbach, se vale il principio che “l’uomo
è ciò che fa”, anche l’agromeccanico può essere
riconosciuto come un agricoltore per conto terzi, seppure
con una propria spiccata specificità rispetto a chi
esercita la medesima professione, ma limitatamente
al proprio fondo.
Non un agricoltore dimezzato, quindi, ma una sorta di
“super-agricoltore” che opera in un ambito territoriale
assai più vasto della singola azienda, in grado di superare
la dimensione individuale e di entrare, già oggi, in
una logica di sviluppo del territorio rurale.
Sono trascorsi ormai diversi anni dalla II Conferenza
di Cork, che – non dimentichiamolo – aveva tracciato
le linee fondamentali per la riscrittura della Pac; ora
che il Parlamento Europeo ne ha ulteriormente differito
i termini, c’è il tempo per pensare ad una politica
di sviluppo del territorio rurale che comprenda a pieno
titolo le imprese agromeccaniche.
Presidente CAI

• Gianni Dalla Bernardina