L’esperienza non insegna: gli agromeccanici ancora discriminati

Chi è cresciuto nel racconto della drammatica esperienza
della guerra, spesso ripetuto da chi ci era passato
e ne aveva superato le mille difficoltà, è stato ampiamente
informato sull’influenza che gli eventi più tragici non
cambiano la natura umana, ma possono solo estremizzarne
i comportamenti. Chi è naturalmente ben disposto verso gli
altri darà il meglio di sé, mentre chi si segnala per i difetti
ben difficilmente risulterà più disponibile, accomodante o
sollecito.
Il fenomeno che interessa gli aspetti caratteriali si trasmette
anche ad altre componenti della nostra personalità, a partire
dall’uso che si fa della conoscenze: lo stress psicologico
occupa gran parte della nostra attenzione, facendoci dimenticare
anche ciò che credevamo di sapere o riducendo
la nostra capacità di apprendere le numerose lezioni che la
situazione ci sta impartendo.
Certo, non è così per tutti: un imprenditore, un professionista,
un tecnico o un operatore capace sanno che le limitazioni
alla libertà personale, agli spostamenti e allo svago possono
essere un momento per consolidare la preparazione, per
allargare gli orizzonti, per essere ancora migliori.
Chi ha responsabilità politiche si trova spesso a combattere
fra queste due tendenze estreme: la continua ricerca della
visibilità e del consenso tende ad agire in negativo, mentre
il responsabile riserbo è il primo strumento per non cadere
nella trappola.
Gli innumerevoli provvedimenti adottati dal governo, da
quando è apparso chiaro che l’epidemia avrebbe interessato
pesantemente il nostro Paese, dimostrano tanta buona
volontà, e non è di certo questo il momento per fare sterili
polemiche.
Tuttavia, nell’ottica della collaborazione che le massime autorità
dello Stato hanno più volte chiesto agli italiani, qualche
suggerimento bisogna pure darlo, perché i provvedimenti
emanati dimostrano ancora una volta che la strutturazione
del tessuto produttivo è ancora in gran parte ignota a chi
deve prendere decisioni.
Il tema è sempre quello della separazione fra l’attività di
produzione agricola e quella di supporto all’agricoltura, due
realtà intimamente connesse sul piano operativo, ma rigidamente
divise da leggi diverse, se non addirittura contrastanti.
Se è legittimo estendere al 6° grado di parentela le collaborazioni
a titolo gratuito in favore degli agricoltori, perché
quando la medesima collaborazione interessa un’altra categoria
di imprenditori, come gli artigiani, il limite massimo di

parentela si ferma al 3° grado? Può rispondere a un ideale di
giustizia tutelare il lavoratore a tempo determinato dai disagi
dovuti alla mancata assunzione a causa dell’emergenza
sanitaria; ma porre vincoli alla natura dell’attività svolta dal
datore di lavoro appare quanto meno sconcertante.
Ed è forse giusto prevedere uno specifico stanziamento per
le aziende agricole – peraltro legittimate a proseguire l’attività
– piuttosto che alle attività economiche sospese per
decreto?
Queste incongruenze non si registrano solo a livello legislativo:
qualche amministratore locale è stato invitato a rivolgersi
ai titolari di aziende agricole, attività non sospese dall’Allegato
1 al DM del 25 marzo, per eseguire i lavori di manutenzione
del verde che le imprese specializzate, in possesso
dei necessari requisiti, non possono svolgere in quanto non
comprese nell’elenco.
Possibile che nessuno rilevi l’incongruenza, oltre all’illegittimità
costituzionale, di un trattamento tanto diverso fra imprenditori
che sono, prima di tutto, cittadini della Repubblica
italiana?
Dobbiamo riconoscere al governo il merito di avere incluso
fra le attività essenziali l’agricoltura e, in tale ambito, la fornitura
di servizi alla filiera agricola: una definizione di carattere
generale che comprende naturalmente le attività agromeccaniche,
o di supporto alla produzione vegetale.
Con una differenza sostanziale, però: mentre per le aziende
agricole sono stati introdotti strumenti finanziari che vanno
ad aggiungersi a quelli già previsti per la generalità delle imprese,
gli agromeccanici devono accontentarsi solo di questi.
Le imprese agromeccaniche sono considerate essenziali per
il mantenimento dei livelli produttivi nel settore agroalimentare
e devono continuare a lavorare: ma in quali condizioni!
Trattandosi di un’attività che comporta frequenti spostamenti
(fuori dal territorio comunale, provinciale e, talvolta,
regionale), stanno sopportando il peso degli innumerevoli
vincoli posti ai trasferimenti stradali.
La necessità delle forze dell’ordine di ridurre il numero dei
varchi ha portato alla chiusura della viabilità secondaria –
quella da cui si accede ai fondi - con il risultato di allungare
a dismisura i percorsi di avvicinamento, determinando aumenti
nei costi che non sembrano essere stati oggetto di
alcuna attenzione da parte del legislatore.
Se si ritiene giusto aiutare e sostenere l’agricoltura, è altrettanto
giusto provvedere con analoghe forme di sostegno a
favore di chi la supporta ogni giorno con uomini e mezzi.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI