Fieragricola accende i riflettori sull’agroalimentare italiano

Il passaggio dalla cadenza annuale a quella biennale, che caratterizza
ormai tutte le più importanti rassegne agricole internazionali,
da Fieragricola a Eima, da Agritechnica a Sima,
rappresenta comunque una buona occasione per fare il punto
su cosa è cambiato nel settore.
Se i bilanci con finalità esclusivamente economiche si continuano
a redigere annualmente, quelli che hanno una valenza
strategica devono considerare intervalli temporali più ampi, per
ridurre gli effetti dei fenomeni contingenti – assai variabili – rispetto
a quelli determinati da fattori strutturali.
Tutte le attività riconducibili all’agricoltura, dalla fornitura di beni
e di servizi di supporto fino alla produzione, dal trattamento del
prodotto fino alla commercializzazione, risentono fortemente
della variabilità dovuta al clima ed all’andamento dei mercati.
L’estensione degli spazi commerciali dall’ambito locale a quello
mondiale non ha portato a una stabilizzazione: le perturbazioni
economiche esistono anche con la globalizzazione, mentre la
diffusione dei mercati telematici non ha reso lo scenario più trasparente,
ma ha soltanto accelerato gli scambi e ridotto i tempi
del mutamento. Del clima in quanto tale ormai non si parla più,
ma solo con riferimento alla sua evoluzione nel tempo: se mai
sarà stilata una classifica in proposito, l’espressione “cambiamenti
climatici” è fra quelle scritte o pronunciate più spesso.
In questi due anni il clima politico non sembra essere mutato;
sono cambiati, è vero, gli equilibri di potere, o l’orientamento generale
del Paese, ma si continua a vivere in una sorta di campagna
elettorale permanente, che non aiuta né la chiarezza né le
assunzioni di responsabilità. Era logico attendersi qualcosa di più
dalla manovra di fine anno? Forse sì: pur considerando la necessità
di dare adeguata copertura a iniziative di notevole impatto
finanziario, si poteva certamente fare meglio.
Il piano di investimenti Industria 4.0, pur con qualche aggiustamento
sulle percentuali, valutate talvolta come eccessive,
avrebbe dovuto assumere un carattere permanente: uno dei
parametri più spesso utilizzati per valutare l’affidabilità di uno
Stato è la costanza del quadro normativo, e in questo caso si
può davvero affermare che non si è perduta solo un’occasione,
ma due. Gli ammortamenti maggiorati, dal 30-40% a quello per

gli investimenti più innovativi, portato l’anno scorso addirittura
al 170% (strana risposta a chi riteneva già eccessivo il 150%...),
avevano tuttavia il grande pregio di essere concordi rispetto al
programma di lotta all’evasione: più tasse si pagano, più conviene
investire. L’azione governativa appare invero poco chiara:
da un lato, si inaspriscono taluni adempimenti amministrativi a
carico delle imprese, che non paiono destinati a produrre effetti
pratici sul gettito; dall’altro, la sostituzione degli ammortamenti
maggiorati con il credito d’imposta sembra decisamente penalizzante
rispetto al passato. Se il fine fosse stato quello di offrire
le stesse opportunità a tutte le categorie economiche e per tutti
gli aiuti, il sacrificio sarebbe tollerabile; ma se la modifica serve
solo a estendere un ulteriore beneficio a chi già gode di altre
provvidenze, il giudizio potrebbe essere negativo.
Vero è che la nuova formulazione consente di sostenere anche
chi, non per propria colpa, si trova a svolgere un’attività caratterizzata
da una bassa redditività; tuttavia, è la misura del credito
d’imposta a suscitare più di una perplessità. L’entità dell’aiuto,
con i “vecchi” ammortamenti maggiorati, superava le percentuali
delle varie “rottamazioni” succedutesi nei decenni passati;
con l’iper ammortamento, il beneficio (in termini di minori imposte
da versare) oscillava dal 40 al 75% dell’investimento.
Non vogliamo entrare in particolari troppo tecnici, ma l’attuale
versione del credito d’imposta risulta assai meno appetibile, e
questo, per una organizzazione di categoria, non è cosa di poco
conto. Le macchine e le tecnologie che vedremo a Fieragricola
sono sempre più difficili da acquistare, ma non a causa del loro
costo, legato a ciò che possono offrire, bensì alla riduzione degli
incentivi e al divieto di accesso ai fondi per lo sviluppo rurale,
posto da svariate regioni agli agromeccanici.
Fondi che alcune regioni, tuttavia, non sono state capaci di
spendere nei termini fissati dall’Unione europea e alla quale
sembrano ormai destinati a tornare. A pochi mesi dalla scadenza
ordinaria del sessennio dell’attuale programmazione, ci auguriamo
che la riforma della politica agricola comunitaria tenga
conto, nel quadro europeo e nazionale, dell’insostituibile ruolo
che le imprese agromeccaniche svolgono, e possono svolgere,
sul fronte della modernizzazione dell’agricoltura.
PUNTI DI VISTA
• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI