Norme fiscali incongrue e inutili, a rischio la competitività del Paese

L’evasione fiscale ha raggiunto proporzioni tali da configurarsi
come il peggiore nemico dello Stato; nemico
che, per la sua natura puntiforme, combatte più una
guerriglia che una guerra totale. La strategia militare pone
grande attenzione agli interventi da fare, per non produrre danni
ancora più gravi di quelli inflitti dal nemico; in campo fiscale
sembra invece essere preferita la tattica di sparare nel mucchio
con la speranza di centrare qualche obiettivo importante. Stiamo
parlando, però, dello stesso Paese che ha saputo superare
gli anni di piombo e quelli del terrorismo internazionale, senza
dover ricorrere a leggi speciali. La lotta all’evasione dovrebbe essere
fondata sull’intelligence, non sull’artiglieria: e invece alcuni
provvedimenti contenuti nella manovra finanziaria sembrano
fatti solo per fare polvere e rumore. Per combattere l’evasione
delle accise nella distribuzione dei carburanti, il fisco ha pensato
bene di assoggettare tutti coloro che hanno un certo quantitativo
in deposito alle stesse regole, senza distinguere fra gli impianti
commerciali e quelli per uso strettamente privato.
I depositi di carburanti agricoli sono però soggetti a specifici
controlli, tali da evitare ogni possibile abuso; il quantitativo acquistabile
è fissato dalla Regione secondo precisi parametri, è
soggetto a verifica annuale e, particolare non insignificante, è
identificato da un apposito colorante. L’aggiunta a questo complesso
castello burocratico dell’obbligo di tenere un ulteriore registro
di carico e scarico non porterà alcun vantaggio all’erario;
inoltre il raddoppio del numero dei soggetti obbligati a denuncia
non sembra essere la soluzione migliore per facilitare i controlli.
Altro esempio negativo è dato dall’estensione, anche agli appalti
fra privati, degli obblighi già previsti per quelli pubblici, dall’inversione
contabile ai fini Iva (il cosiddetto “reverse charge”) al versamento
delle ritenute fiscali e previdenziali sul lavoro dipendente.
La norma si applica pure ai servizi appaltati ad altre imprese,
come quelli che le aziende agricole affidano agli agromeccanici;
su questo argomento però, grazie anche all’intervento di Cai, i
partiti di governo hanno mostrato qualche segnale di apertura
che fa ben sperare. Comunque vada per il settore agricolo,
il provvedimento sembra comunque destinato a sconvolgere
i rapporti commerciali fra le imprese, costrette a dichiarare

al cliente come si compone il prezzo del servizio appaltato, in
aperta violazione del segreto d’impresa. Per le prestazioni di più
elevato contenuto tecnico, infatti, potrebbe risultare sgradevole
far sapere al committente quale sia la retribuzione di certe
figure professionali, oltre alla implicita necessità di dimostrare
la validità di una scelta imprenditoriale piuttosto che di un’altra:
per esempio, l’impiego di un cantiere totalmente automatizzato
comporta un diverso carico di manodopera.
La generalizzazione del principio dell’inversione contabile impedirà
alle imprese appaltatrici di riscuotere l’Iva, e di poter quindi
contare sulla liquidità, seppur temporanea, che ne deriva: ciò
comporterà una maggiore esposizione finanziaria che appesantirà
i costi di produzione. Norme, queste, che non tengono conto
della terziarizzazione del sistema produttivo: poche aziende
completano il processo al loro interno, per cui l’estensione di
questi oneri a tutti gli appalti d’opera e di servizi porterà ad una
ulteriore perdita di competitività del Paese.
Le imprese agromeccaniche, attraverso Cai, sono state fra le
prime a denunciare l’incongruità e l’inutilità di queste norme, i
cui effetti non sembrano essere stati adeguatamente compresi.
Cai fa appello alle istituzioni affinché venga corretto il tiro: non
vorremmo cadere anche noi sotto il fuoco amico delle istituzioni,
che anziché semplificare – come più volte promesso –
introducono sempre nuovi adempimenti. L’obbligo di apertura
di ulteriori conti correnti, su cui far transitare i pagamenti, contrasta
con i vari tentativi di semplificazione, oltre a complicare
i rapporti con un sistema bancario di cui le imprese avranno
sempre più bisogno, dai pagamenti elettronici ad una gestione
finanziaria integrata. E tutto ciò senza contare gli aspetti etici:
è mai possibile che in uno Stato di diritto i contribuenti siano
obbligati a controllarsi l’uno con l’altro? E dire che mancano, in
un sistema complesso e articolato quanto il nostro, organismi
ben più competenti preposti a tali compiti.
La capacità degli organi dello Stato e di coloro che vi prestano
servizio, seppure meritevoli di più attenzioni sul piano economico,
non è in discussione, ma le risorse devono essere impiegate
in modo efficace e razionale, per rendere un miglior
servizio alla pubblica amministrazione e ai cittadini.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI