Danni da clima pazzo urge una rete protettiva per agricoltori e terzisti

Quattordici miliardi di euro di danni, solo in agricoltura,
negli ultimi dieci anni, con oltre sei milioni di persone
che in Italia vivono in terreni a rischio alluvioni e con
un susseguirsi di problemi di carenza e/o eccessiva disponibilità
di risorse idriche, al punto che sia l’una che l’altra situazione
rappresentano un pericolo per la tenuta del territorio.
È questo un bilancio in negativo degli effetti del maltempo,
del surriscaldamento globale e dei cambiamenti climatici.
Il fenomeno, del quale ritorniamo ad occuparci, in quanto le
imprese agromeccaniche sono vittime tanto quanto e forse
più delle stesse imprese agricole, merita attenzione.
In attesa di una equiparazione sul piano giuridico delle aziende
agricole e agromeccaniche, che operano nel medesimo
settore e sono esposte agli stessi rischi (un raccolto distrutto
dalla grandine significa reddito zero tanto per l’agricoltore
quanto per il contoterzista, che non sarà chiamato a raccoglierlo),
è necessario che imprese, istituzioni e sistema delle
assicurazioni studino soluzioni adeguate per costituire una
efficace rete di protezione dai fenomeni atmosferici violenti,
che sembrano essere ormai all’ordine del giorno, se è vero
che l’estate del 2019 in Italia ha fatto segnare fino alla seconda
metà di agosto ben 760 grandinate, trombe d’aria e bombe
d’acqua.
Serve una profonda riflessione ed è diventato impellente agire,
attraverso nuovi modelli produttivi, soprattutto dopo la
diffusione del Rapporto dell’Ipcc, l’agenzia dell’Onu che studia
appunto il fenomeno del climate change e che all’inizio
di agosto ha suonato il gong a tutto il pianeta. I numeri sono
davvero impressionanti e delineano un fenomeno che colpisce
il pianeta terra con diversi gradi di violenza e con differenti
modalità.
Dal rapporto emerge, infatti, che lo sfruttamento della terra
da parte dell’uomo è responsabile, da solo, del 23% delle
emissioni di gas effetto serra. Tra le altre attività responsabili
troviamo l’agricoltura, il processo di deforestazione e gli incendi
boschivi, sempre più estesi e impattanti, come dimostra
anche la situazione attuale in Amazzonia.
Basti un dato, espresso nel rapporto Ipcc: ridurre la deforestazione
comporterebbe tagli di 0,4-0,5 giga tonnellate equivalenti
di ossido di carbonio. Se agricoltura, silvicoltura e altri usi
intensivi del suolo sono ritenuti responsabili, appunto, di quasi
un quarto di tutte le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo,
tale quota sale al 37%, se si aggiungono le attività legate

alla catena dell’industria alimentare (pre e post produzione).
Allo stesso tempo, i cambiamenti climatici sono in stretto
rapporto con lo spreco di risorse, alla luce del fatto che oltre
un quarto del cibo (25-30%) viene buttato o perso lungo
la catena alimentare, con la conseguenza di produrre nuove
emissioni durante la fase di decomposizione.
L’agricoltura, nelle raccomandazioni dell’Ipcc, dovrà indirizzarsi
verso la produzione sostenibile di cibo, la gestione sostenibile
delle foreste, la gestione del carbonio organico nel
suolo. Per effettuare una vera svolta, il ruolo delle imprese
agromeccaniche diventa centrale nella filiera produttiva primaria.
Negarlo è un errore clamoroso, forse neppure in buona
fede.
Dai cambiamenti climatici ad altri cambiamenti, quelli politici.
Non è intenzione della Confederazione Agromeccanici
e Agricoltori Italiani schierarsi per un partito o un governo,
ma la matematica ci dice che siamo in attesa del ministro
numero 14 in 19 anni. L’agricoltura è dunque chiamata a salvarsi
prevalentemente da sola, preso atto che il turnover così
rapido costringe il mondo delle imprese e le relative rappresentanze,
che sono per la loro funzione chiamate a dialogare
con le istituzioni, a riprendere ogni volta dall’inizio la progettualità
e in alcuni casi agire in velocità, quando si tratta invece
di operare in emergenza. Tutto questo, purtroppo, vanifica gli
sforzi di pianificare azioni a lungo termine, operazioni necessarie
invece per affrontare le grandi sfide come la redditività,
la competitività, l’internazionalizzazione, l’infrastrutturazione,
la gestione delle risorse idriche, i cambiamenti climatici.
Tempo di cambiamenti anche in Europa. La recente nomina
del polacco Janusz Wojciechowski da parte della presidente
Ursula von der Leyen, sempre che venga confermata dal Parlamento
europeo, fa definitivamente tramontare le speranze
italiane, almeno per i prossimi cinque anni, di avere un connazionale
nel ruolo di commissario europeo all’Agricoltura.
È, peraltro, dal 1972, che l’Italia non esprime un commissario
agricolo in Europa.
Confidiamo, però, nell’autorevolezza del commissario designato
Wojciechowski. Dovrà essere innanzitutto l’artefice di
una rivoluzione verde in grado di assicurare competitività e
redditività alle imprese della filiera agricola e alimentare, riconoscendo
al contoterzismo in agricoltura quel ruolo strategico
che negli anni ha saputo conquistare e che, sempre di più,
e rappresenta un sostegno all’innovazione.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI