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Quando Paolo De Castro, primo vicepresidente della Commissione
Agricoltura al Parlamento europeo e profondo conoscitore
della Politica agricola comune, invita a prendere un bel
respiro e a riflettere sui possibili effetti di una corsa a definire la
prossima Pac 2020, ha pienamente ragione.
Le premesse per non evitare il rush a raggiungere un’intesa su
un quadro “rinazionalizzato” della Pac proposto dal commissario
europeo Phil Hogan sono assolutamente convincenti:
meno risorse disponibili nella fase post 2020, maggiore flessibilità
per gli Stati membri (che per l’Italia potrebbe significare
sostegni in libertà, senza una politica agricola di fondo), ancora
una grande incertezza sui rapporti con il Regno Unito, una
dotazione finanziaria per il periodo 2014-2020 che l’Italia non
è ancora riuscita a collocare per colpa di una geometria regionale
che mostra troppe falle per disaggregazione e burocrazia.
A tal proposito, entro il 31 dicembre l’Italia dovrà spendere le
risorse pubbliche comunitarie stanziate nel 2015 per finanziare
i vari Programmi di sviluppo rurale. Al 30 giugno 2018 risultava
infatti impiegato solo il 18,35% della dotazione finanziaria a valere
per i Piani di sviluppo rurale 2014-2020 e la spesa pubblica
cumulata ammontava a 3,837 miliardi di euro, a fronte di uno
stanziamento complessivo di oltre 20,9 miliardi.
Piaccia o no, le regole europee sono cambiate e il 2018 prevede
per la prima volta l’applicazione nel bilancio della Pac la
regola “N+3” per attuare un disimpegno automatico. Che cosa
significa la formula appena citata? Che la Commissione Ue libererà
gli stanziamenti di bilancio del 2015 che non siano stati
utilizzati entro il 31 dicembre 2018. Come al solito, assistiamo
a un’Italia a due velocità, con regioni come Emilia-Romagna,
Veneto, Lombardia, Sicilia e Toscana che hanno già raggiunto
il loro obiettivo di spesa. ci sono altre regioni che risultano purtroppo
ancora indietro e che potrebbero vedere tutte le loro
risorse ritornare tra tre mesi esatti nelle casse di Bruxelles.
La Confederazione Agromeccanici e Agricoltori Italiani non fa
parte della schiera degli auto-catastrofisti, quelli che si augurano
che le cose vadano male per poi alzare il dito e sentenziare:
“Noi l’avevamo detto”. Niente affatto.
Facciamo il tifo per un impiego integrale e intelligente delle risorse
disponibili, soprattutto in una fase delicata di negoziato
come quella in corso e che, responsabilmente, ci auguriamo
possa essere affrontata con serenità dopo la formazione del
nuovo Parlamento europeo, in seguito a elezioni.
Purtuttavia, non possiamo non invitare a una riflessione il ministro
Centinaio e gli assessori regionali alla partita, perché forse,
consentendo anche alle imprese agromeccaniche di investire
in mezzi, macchinari, tecnologie, buone pratiche agricole, eviteremmo
la beffa di perdere risorse che non piovono dal cielo
di Bruxelles sulla Penisola, ma sono frutto della partecipazione
dell’Italia al bilancio comunitario, con risorse del popolo italiano.
Inoltre, eviteremmo la farsa delle prefiche di una parte
consistente del mondo agricolo che da un lato lancia l’allarme
sull’esigenza di mettere a dimora tutte le risorse e dall’altro
vieta a 18.000 imprese agromeccaniche di poter partecipare
all’ammodernamento del settore. Veramente strana l’esclusione
degli agromeccanici, se si pensa che ai fondi del Psr possono
accedere le cooperative e le industrie agroalimentari.
Si sta concludendo la vendemmia 2018 all’insegna della qualità.
Come imprenditori agricoli guardiamo al settore vitivinicolo
con responsabilità, consapevoli che non basta saper produrre,
bisogna anche vendere. Produciamo in termini quantitativi più
della Francia, ma il nostro export vale la metà in valore. È lì che
dovremmo spingere: maggiore valore della bottiglia significa
superiore redditività per la filiera e migliore posizionamento di
mercato. Come imprenditori agromeccanici dobbiamo invece
sottolineare una progressiva diffusione della meccanizzazione
nel vigneto, in particolare nelle fasi di raccolta e di gestione del
sotto-fila. Sarà una nuova frontiera, che vede molto spesso le
imprese di meccanizzazione agricola in prima linea e con ulteriori
possibilità di crescita.
Sul fronte sindacale prosegue il Tavolo tecnico con Coldiretti.
Siamo in fase di avanzamento, in particolare, su due fronti. Da
un lato, stiamo consolidando progetti qualificati per il sempre
maggiore coinvolgimento delle imprese agromeccaniche nella
filiera agricola italiana, finalizzati al contenimento dei costi,
alla salvaguardia della qualità del prodotto e alla certificazione
dello stesso, agevolando la tracciabilità in agricoltura. Dall’altro,
stiamo lavorando per uniformare le norme per l’agricoltura anche
in applicazione al settore agromeccanico, in modo da non
avere più due figure che hanno gli stessi scopi e che oggi sono
invece in taluni punti trattate diversamente, come nei casi più
eclatanti dei depositi carburanti e della prevenzione incendi.
Un altro tema al centro del dibattito è la revisione delle macchine
agricole, che preoccupano Cai e Coldiretti, per l’assoluta
mancanza di una corretta interpretazione della norma e l’assenza
di decreti attuativi che rendono totalmente inapplicabile
una legge che, allo stato dell’arte, è invece in vigore.
Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI