Economia circolare e sostenibilità: occorre cambiare paradigma

Inizio settembre. Università di Wageningen, Olanda. L’occasione

sono le celebrazioni per i 100 anni di vita di uno degli

atenei più prestigiosi al mondo. Sono invitati a parlare il

primo ministro Mark Rutte e il commissario europeo all’Agricoltura,

Phil Hogan, che ribadisce l’attenzione alla ricerca e innovazione

nel settore agri-food, ricordando che l’Ue metterà

sul piatto 10 miliardi di euro per sostenere il progresso verso la

green economy. Innovazione, economia circolare, sostenibilità

sono ambiti strettamente correlati. E uno dei principali Atenei di

agricoltura e innovazione nell’agroalimentare ha voluto mettere

al centro del dibattito tali temi, forte di un’attenzione mediatica

che si è riverberata fra tutti gli stakeholder a livello planetario.

Quest’anno l’overshoot day, cioè il giorno nel quale l’umanità

consuma interamente le risorse prodotte dal pianeta nell’intero

anno, è caduto l’1 agosto. Questo significa che per cinque mesi

la Terra vive in debito. Una situazione molto preoccupante, se

sommata ai cambiamenti climatici, che da sempre accompagnano

la vita del pianeta, ma che in questa fase stanno comportando

un aumento dei gas serra, un innalzamento delle

temperature medie e modificando gli eventi meteo.

Ecco che diventa ormai impellente cambiare paradigma produttivo

e di vita. E questo, naturalmente, non soltanto in agricoltura.

Dobbiamo modificare il modo di coltivare, di trasformare,

di confezionare, di consumare. Le isole di plastica che

sono state filmate negli oceani sono un monito verso il quale

non possiamo girarci dall’altra parte.

Cai non cede alle sirene di un allarmismo in parte abusato, ma

è pronta a fare la propria parte per rispondere a una schiera

sempre più fitta di cittadini che chiede che il pianeta sia gestito

in modo da assicurare un avvenire anche alle generazioni

future. Da qui l’impegno, che anche il mondo delle imprese

agromeccaniche sta assumendosi, di passare da un’economia

lineare, dove ogni prodotto esaurisce in pochi passaggi il proprio

ciclo di vita, a una soluzione di economia circolare, dove

ogni prodotto svolge una funzione più completa. L’etica non è

più un accessorio inutile. I casi di caporalato che anche in questa

stagione si sono verificati devono richiamare l’attenzione

delle istituzioni e di tutti gli operatori, per evitare il cancro della

nuova schiavitù. Un fenomeno che, grazie alla specializzazione

richiesta a chi lavora nelle imprese agromeccaniche, ha risparmiato

le nostre imprese, ma non per questo Cai si sottrae al

dovere di sollecitare le aziende associate a declinare lavoro e

responsabilità sociale.

L’Italia ha davanti a sé una grande sfida: la tutela della biodiversità.

Un patrimonio che non può essere perso e che è alla base

della più grande forza commerciale del Made in Italy. Possiamo

migliorare? Assolutamente sì. L’export è in crescita e compensa

un calo dei consumi interni in segmenti cruciali come il

latte e le carni rosse. Ma sarebbe miope soffermarsi a esaltare

le quantità e il caso emblematico è il vino. L’Italia è il primo

produttore mondiale, ma esporta meno della metà in valore

della Francia, che ha saputo valorizzare marchi, territori e indicazioni

geografiche con larghissimo anticipo rispetto all’Italia.

Se perdonate un’incursione nel mondo dell’arte, la prima raffigurazione

di una bottiglia di Champagne – già allora icona

del buon vivere - risale al 1882 (Il bar delle Folies-Bergère di

Edouard Manet, oggi alla Courtauld Gallery di Londra), quando

l’Italia aveva conquistato l’Unità da appena 12 anni. Questione

di marketing e qualità.

Sul piano sindacale l’attività della Confederazione Agromeccanici

Italiani prosegue. Da osservatori privilegiati del settore

agricolo non possiamo non guardare con una certa preoccupazione

alla crisi del mais. Nel giro di 10 anni le superfici italiane

si sono ridotte di oltre un terzo, passando da 991.500 ettari

del 2008 a 638.500 di quest’anno. Effetto della globalizzazione,

della volatilità dei prezzi, delle aflatossine, delle rotazioni introdotte

dalla Pac. La stagione appena conclusa ha dato risultati

soddisfacenti, eccetto qualche caso, ma anche in questo caso

è necessario rivoluzionare l’approccio alla coltivazione, analizzando

attraverso l’agricoltura di precisione più fattori contemporaneamente:

le sementi, la composizione del terreno, il

fabbisogno di mezzi tecnici, le rese produttive per singolo centimetro.

Solo così potremo ottenere risultati apprezzabili.

Nelle prossime settimane Cai presenterà un documento sul

futuro della Pac, con l’obiettivo di aprire un dibattito costruttivo,

che contribuisca alla crescita del settore, senza avvitarsi su

posizioni anti-storiche o superate dall’evoluzione di un comparto

determinante per la vita dell’Europa. Prosegue la collaborazione

con Coldiretti e a breve sarà convocato un tavolo di

confronto sull’inquadramento agricolo dell’imprenditore agromeccanico

e sui finanziamenti nel Psr. Inoltre, continua la piena

condivisione sulla valorizzazione dei prodotti 100% italiani,

dove è sempre più determinante l’apporto di qualità degli agromeccanici

nelle operazioni colturali, grazie a macchinari moderni

che rispettano il suolo e l’ambiente e riducono i costi di

produzione, nell’ottica di un miglioramento della redditività.

• Gianni Dalla Bernardina

Presidente CAI