Nuove missioni alla nostra portata. Ma il sistema e le istituzioni devono rafforzare i pilastri sui quali si fonda il Made in Italy

Sul tema dell’etichettatura qualcosa si sta muovendo.
Dallo scorso 19 aprile, come è noto, è entrata in vigore
in via sperimentale la certificazione di origine nel settore
lattiero caseario.
Non ci sono ancora i risultati ufficiali di quale è stato il beneficio
dall’indicare la provenienza del latte, ma è certo, da alcuni
confronti che abbiamo avuto con cooperative e industrie di trasformazione,
che il riscontro da parte dei consumatori è stato
positivo. E non poteva essere diversamente, stante l’attenzione
crescente del consumatore verso gli aspetti salutistici non solo
a tavola, ma anche nei comportamenti legati allo sport e al tempo
libero.
Non ci appassiona, in tutta onestà, la querelle che ha opposto
il ministero delle Politiche agricole, la commissione europea
e alcuni esponenti politici che hanno sollevato alcune
perplessità sugli iter – più recenti – dei decreti per l’etichettatura
del riso e dei cereali. Ci interessa, invece, che il percorso
di tracciabilità possa completarsi in tempi ragionevoli,
per garantire il diritto dei consumatori (che siamo tutti noi,
molto banalmente) alla salute e all’informazione (ognuno
sarà libero di mettere nel carrello latte prodotto in Lituania,
in Austria, in Francia, ma è bene saperlo per poter scegliere).
Allo stesso tempo, siamo certi che i benefici derivati dal fatto
di poter contare su maggiori informazioni si tradurranno in
una migliore marginalità per la filiera.
Non siamo parimenti sicuri che una parte dei benefici raggiungeranno
anche i produttori, ma ci si può lavorare insieme.
Per sostenere quel principio di civiltà che una parte del
mondo agricolo ha sostenuto con grande forza, attraverso
raccolte di firme o di manifestazioni al Brennero, e che la
Confederazione degli Agromeccanici e Agricoltori Italiani ritiene
sia una delle sfide da vincere, anche i contoterzisti possono
giocare un ruolo fondamentale all’interno della filiera.
Chi può certificare la salubrità di un prodotto? O il rispetto
di alcuni parametri, quando parliamo di cereali? O la provenienza
da un determinato appezzamento? Abbiamo macchine,
mezzi, strumenti e professionisti abilitati a fare tutto
quanto il sistema agroalimentare e i consumatori ci chiedono.
E condividiamo gli stessi principi di chi vuole fare della
trasparenza la propria carta d’identità.
Una certificazione di filiera che risponda alle esigenze dei
produttori e dei consumatori non può prescindere da quelle
imprese che in modo professionale si occupano dei servizi
in agricoltura. Anche di questo ci stiamo occupando, con

l’obiettivo di ampliare le attività che possono essere fornite
dalle imprese di meccanizzazione agricola.
Gli ambiti di manovra, comunque, sono molto ampi. E, paradossalmente,
la crisi che ha colpito le imprese agricole ha
di fatto reso ancora più determinanti le nostre attività. La
crescita che ha visto protagonisti gli imprenditori agromeccanici
è stata impressionante e basta leggere il report del
Crea per rendersene conto.
Nuove missioni sono alla nostra portata, purché vi sia la volontà
del sistema (che coinvolge anche le istituzioni) di rafforzare
i pilastri sui quali si fonda il Made in Italy. Pensiamo
alle filiere del pomodoro o del grano duro: i contratti di filiera
possono rappresentare una garanzia di redditività, provenienza
e salubrità. Magari, onde ovviare agli arcinoti problemi
di programmazione, sarebbe consigliabile orientarsi su
collaborazioni pluriennali (minimo un triennio). Questo per
consentire anche alle realtà della trasformazione di pianificare
i propri investimenti.
Dal 1° ottobre non ci sono più le quote zucchero. L’ultimo
baluardo del protezionismo comunitario ha lasciato il passo
al libero mercato. Come presidente di un’associazione di
liberi imprenditori (con soddisfazione possiamo annunciare
un incremento degli agricoltori, aspetti che ci inorgoglisce
particolarmente) non posso che esserne felice.
Allo stesso tempo non posso non rilevare i pericoli per il
comparto bieticolo saccarifero nazionale, già fortemente
compromesso dopo il piano che nel 2005-2006 sacrificò lo
zucchero Made in Italy sugli altari di politiche compromissorie
con Bruxelles. Dal ministero delle Politiche agricole sarebbe
opportuno conoscere come intenderà agire a riguardo:
se cioè lasciare che l’Italia diventi dipendente totalmente
dallo zucchero estero o se sostenere la filiera. Le imprese
agromeccaniche ci sono, anche alla luce delle opportunità
energetiche che il comparto offre.
Dobbiamo essere protagonisti nel percorso di nuova pianificazione
dell’agricoltura in Italia. Un processo che si rende
necessario non soltanto per questioni economiche, ma anche
per le necessità imposte dai cambiamenti climatici, che
richiedono monitoraggi costanti e azioni concertate. Ipotizzare
di muoversi come è stato fatto in passato, prendendo
ordini dall’Unione europea o applicando un “manuale Cencelli”
delle colture agrarie, è evidentemente un anacronismo
pericoloso.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI