QUALE TIPO DI AGRICOLTURA PER IL PAESE? (Le cose che il Palazzo non sa)

Le scelte di politica agricola adottate in Italia nell’ultimo ventennio

“con messaggi discordanti” evidenziano una situazione

che non sembra giustificabile neppure alla luce dei

repentini cambi di scena che hanno costellato la nostra storia

politica recente.

Innanzi tutto, sembra che manchi una visione “equilibrata” di

cosa sia l’agricoltura nel terzo millennio, e le stesse rappresentanze

agricole sono le prime a mostrarsi disorientate. C’è chi è

arrivato a esporsi affermando che la “vera” agricoltura prescinde

dalla tecnologia e rifiuta le commodities, salvo poi sbandierare

con orgoglio nuove adesioni di grandi aziende, che non risultano

però dedite a prodotti di nicchia o a tecniche tradizionali. Quale

deve essere il nostro modello di agricoltura? Biologico o convenzionale

regimato? Un’agricoltura che produce materie prime

indifferenziate per il mercato globale o che si dedica ai prodotti

primari che stanno alla base delle nostre eccellenze alimentari?

Crediamo che la risposta non possa essere che la seconda; viene

però da chiedersi se grano tenero e duro, materia prima di

molti prodotti Dop e Igp, devono essere considerati commodities,

come sostiene l’industria, oppure materie prime qualificanti,

come sostengono i produttori? Non è una questione di termini,

ma di sostanza, perché il valore economico è molto diverso: il

prodotto indifferenziato può essere facilmente sostituito con

qualcosa che costa meno, mentre la materia prima che qualifica

la pasta o il pane come “italiano”, o è davvero italiana o non lo è.

L’incertezza su cosa sia realmente l’agricoltura non riguarda solo

le coltivazioni: i telespettatori italiani si inteneriscono guardando

le malghe d’alta quota, ma poi, quando si tratta di scegliere fra i

formaggi nostrani e le “pappette” dell’industria globalizzata, si indirizzano

“generalmente” su ciò che costa meno. La confusione

sui diversi modelli di agricoltura ha portato – un fatto davvero

grave nell’era della comunicazione – a tentare fallaci classificazioni

fra agricoltura pulita e non, solo su base dimensionale. Soggetti

innovatori quali gli agromeccanici garantiscono un’efficace

lotta integrata a salvaguardia della salubrità delle produzioni e

della riduzione dell’impatto ambientale.

È un errore pensare che la piccola azienda segua un modello

“tradizionale”, che peraltro non esiste più: l’unico che potrebbe

permettersi di produrre di meno e di sopportare costi maggiori

non è il piccolo, ma il grande o il grandissimo, che ha la possibilità

di far coesistere diversi sistemi di produzione. Un esempio? Da

alcuni anni, sono proprio i contoterzisti con terreni in affitto, sui

quali le commodities non sono redditizie, ad avere differenziato

la produzione verso colture tracciate qualitativamente, quindi ad

alto valore aggiunto. Un modello di agricoltura integrato dove

le colture di pieno campo, condotte con sostenibilità e rigore

scientifico, coesistono con le produzioni specialistiche. Da qui,

tutte le agricolture sono da tutelare e sostenere, quando producono

con criteri di alta qualità merceologica.

• Silvano Ramadori

Presidente UNIMA