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La crisi dei prezzi dei prodotti agricoli, specie di quelli più
interessati dalla globalizzazione, ci deve spingere ad una
serena analisi sulla nostra storia recente, anche attraverso
un confronto fra tutti i soggetti protagonisti del sistema agricolo.
Le imprese agromeccaniche sono con l’agricoltura, sostengono
l’agricoltura e credono nell’agricoltura; se la barca non
va o è in pericolo, collegialmente ci si salva tutti o affonda il
sistema nel suo complesso.
Eppure, nonostante Unima abbia dedicato anni ad informare i
contoterzisti sugli effetti del mercato libero, gran parte del mondo
agricolo si è fatto trovare impreparato agli eventi preannunciati
del mercato globale. Come spiegare oggi, a 24 anni dalla
riforma McSharry, che è la legge della domanda e dell’offerta a
fare i prezzi, e che la Pac ha dispensato nel tempo miliardi di
euro proprio per consentire alle imprese un atterraggio morbido?
Come far comprendere agli agricoltori che i contributi a
superficie (definiti fin dal principio come “integrazione al reddito”)
non erano un grazioso regalo dell’Europa, ma un ammortizzatore
sociale ed economico, in vista di tempi peggiori? Può
essere che siano stati intesi come “aiuti” derivanti da qualche
magica trovata sindacale, oppure come un artificio per ridistribuire
la ricchezza fra i cittadini europei?
È possibile che qualcuno, forse troppi, ci abbiano creduto. È anche
possibile che, in mancanza di una precisa e lungimirante
strategia politica, si sia continuato a credere che “piccolo è bello”
anche quando tutto, nel mondo, ci sta dimostrando il contrario,
almeno per le commodities. I fondi comunitari dovevano favorire
gli investimenti, sostenere i miglioramenti fondiari, ridurre
quella miriade di vincoli organizzativi ed economici che hanno
sempre contraddistinto l’agricoltura rispetto ad altre attività. In
altri Paesi d’Europa i fondi comunitari – dalla Pac al Psr – hanno
effettivamente migliorato la produttività e la competitività delle
aziende agricole, facendo crescere il Pil e le esportazioni.
Perché questo non è accaduto anche da noi? Perché abbiamo
perduto terreno rispetto agli altri Stati, retrocedendo di diverse
posizioni nel fatturato e nell’export? Questo processo di involuzione,
che sta facendo perdere terreno all’agricoltura italiana
– leader mondiale sul piano della qualità e della sostenibilità
– deve portare ad una indispensabile riflessione sulla capacità
della politica di indirizzare e valorizzare l’economia, attraverso
il coinvolgimento di soggetti capaci di competere nel nuovo
sistema globale.
Il disastro è sotto gli occhi di tutti: è solo un capriccio della sorte
o è l’effetto di una politica agricola inadeguata? Per superare
l’attuale contingenza occorre una politica forte e coraggiosa: ci
vogliono nuove misure a sostegno delle imprese, idonee a superare
questa contingenza, ovvero ammortizzatori economici,
sostenuti da una compartecipazione al rischio pubblica e privata,
magari sacrificando i fondi diretti ad azioni “poco agricole”.
• Silvano Ramadori
Presidente UNIMA