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Il collegato agricolo, recentemente approvato dopo una lunga
gestazione, allarga il già troppo profondo solco esistente
fra chi – per caratteristiche soggettive e non oggettive – può
o non può godere di agevolazioni forse troppo ampie.
Un caso particolare è rappresentato dalle cosiddette “attività
connesse” a quella agricola. La norma del codice civile aveva
il nobile scopo di favorire la multifunzionalità dell’azienda agricola
e sostenere quell’attività di presidio e controllo del territorio
che rappresenta la base del tessuto produttivo, ambientale
e paesaggistico del nostro Paese. Interpretazioni distorte della
medesima norma, talora difese dalle stesse rappresentanze
agricole, hanno portato molti agricoltori a travalicare i limiti
stabiliti dalla legge, creando fenomeni di sleale concorrenza e
gravi distorsioni del mercato.
Mancando un criterio oggettivo – le norme considerano solo la
figura dell’imprenditore – le “attività connesse” si sono tramutate
in una sorta di zona franca, dove troppo spesso l’evasione
fiscale e contributiva trova spazi non definiti e/o controllabili,
per non parlare della sicurezza per gli operatori e per l’ambiente.
Alberghi e ristoranti mascherati da “agriturismo”, imprese di
trasformazione agroalimentare, agro-energetica e mangimistica
nascoste sotto le spoglie di “aziende agricole”, imprese di
servizi travestite da aziende che di “agricolo” hanno, sempre più
spesso, solo il nome.
Il fenomeno è preoccupante: il vantaggio fiscale supera il 30% e
sta spingendo molte aziende “non agricole” a dotarsi di un’apparenza
agricola per risparmiare sui costi di gestione ed altro.
Oltre alla distorsione del mercato, queste attività – quando
sono esercitate “abusivamente” – producono un danno erariale
che, secondo stime ragionevoli, potrebbe sfiorare il miliardo
di euro. Queste istanze, già portate all’attenzione del governo
prima della pausa feriale, ci spingono a chiedere la convocazione
di un tavolo tecnico comprendente tutte le forze in campo
(agricole e non agricole), per una necessaria definizione di limiti
più precisi per le attività connesse, ciò in quanto vogliamo
operare con coscienza per il bene sociale.
La normativa è certamente chiara nei suoi termini generali, ma
manca una definizione dei confini precisi oltre i quali si può
cadere nell’abuso e nella discriminazione. Il legislatore deve
prendere atto che, già dal 2014, la stessa Agenzia delle Entrate
si è resa conto del pericolo di una evasione generalizzata, e ha
diramato istruzioni operative agli uffici tributari per indirizzare
l’attività di accertamento fiscale proprio alle attività connesse.
Se vale ancora lo Stato di diritto, in cui le leggi devono essere
applicate da tutti i cittadini senza distinzione, si deve intervenire
prontamente per combattere coloro che, nascondendosi fra
le pieghe della legge, operano in dispregio delle leggi stesse e
fanno concorrenza sleale a chi crede ancora nella professionalità,
nell’equità e nella legalità.
• Silvano Ramadori
Presidente UNIMA