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Nel momento in cui Unima celebra la sua settantesima assemblea,
viene naturale ricordare le vicende degli ultimi
cent’anni: un periodo dominato dalle ideologie e da
concezioni politiche che credevano che si potessero superare,
o ignorare, le leggi dell’economia, il diritto naturale e le libertà
individuali.
Archiviato il passato, si continuano però a sostenere idee ormai
superate, come la distribuzione a pioggia di denaro pubblico a
soggetti che sarebbe arduo definire imprese, perché troppo piccole
per sopravvivere, prima ancora che per produrre utili, come
avviene nell’attuale percezione del concetto di “sviluppo rurale”
Chi invece crea reale sviluppo, consentendo agli agricoltori di
produrre utili e di rimanere competitivi al mutare degli scenari
economici, viene sistematicamente “dimenticato” dai decisori,
salvo qualche rara, ma cosciente, presa di posizione di pochi
esponenti politici.
Le imprese agromeccaniche operano da sempre in una logica di
mercato, senza contributi pubblici, ma contando unicamente sulla
loro razionalità e capacità professionale; imprese tassate come tutte
le altre, che lavorano per le aziende agricole, senza però godere
delle stesse agevolazioni; imprese sempre alla ricerca dell’innovazione,
del rispetto ambientale, della riduzione dei costi e dell’incremento
della produttività del lavoro e delle colture, che portano
tecnologia e sicurezza alle aziende agricole, piccole e grandi, incrementando
la competitività del territorio e del settore primario.
Sostenere queste realtà significa sostenere il territorio rurale e la
sua capacità di fare massa critica, con una ridotta incidenza delle
somme investite per unità di superficie che porterebbe ai massimi
livelli la produttività reale delle risorse pubbliche, oltre a garantire
sicurezza economica e sociale.
Ma le politiche di sviluppo rurale non fanno abbastanza: si
privilegiano, in una logica ancora troppo legata all’obiettivo
del consenso, si privilegiano interventi piccoli e puntiformi, a
macchia di leopardo, che non incidono realmente sulla competitività
del sistema.
Ma c’è ancora chi pensa con la propria testa: di recente il parlamentare
del Pd Marco Carra ha rilevato che “il mancato riconoscimento
dell’imprenditore agromeccanico ha determinato e sta
determinando tuttora una situazione insostenibile per questo settore.
Stiamo parlando, infatti, di una categoria che rischia di essere
costantemente discriminata ed esclusa dai vari ed importanti
provvedimenti adottati dal governo a sostegno dell’agricoltura
e dell’agroalimentare.”
Parole pesanti, che rendono urgenti gli interventi per superare
questa ingiusta esclusione dalle politiche di sostegno al settore
agroalimentare, in considerazione del ruolo che le imprese
agromeccaniche svolgono per portare innovazione, competitività
e sostenibilità ambientale in tutta la filiera, a vantaggio
dell’intera collettività.