Gli agromeccanici sollecitano la politica a proseguire nella semplificazione

Non passa giorno che ogni imprenditore, del settore
agricolo o di quello industriale, fino alle ormai preponderanti
attività di servizi, si trovi di fronte ad una
questione apparentemente insormontabile: fare comprendere
alla pubblica amministrazione le difficoltà che incontra nel suo
lavoro. Un problema comune, in realtà, a tutti i cittadini, dal
dipendente al pensionato, dal disoccupato allo studente: in un
mondo tanto complesso quale è quello in cui viviamo basta
svoltare l’angolo per scoprire nuove prospettive e nuovi ostacoli
di cui non ci siamo mai resi conto.
All’intrinseca difficoltà di comprensione delle esigenze degli “altri”,
intesi in senso lato, si aggiunge il fattore territoriale, che scaturisce
sia da condizioni oggettive, come la distanza, la carenza
di infrastrutture e l’isolamento, sia da elementi soggettivi stratificatisi
nella mentalità della gente. Per chi ha deciso di prendersi
a cuore i problemi altrui e ne ha fatto una professione – quella
che chiamiamo “la politica” – sono questi i temi fondamentali: il
sostegno elettorale si costruisce sulla risposta ai bisogni o sulla
speranza degli elettori di trovare risposte convincenti.
Il consenso così ottenuto porta alla conquista di un “potere” che
è sempre temporaneo, perché legato alla capacità degli uomini
e delle loro aggregazioni di mantenere nel tempo questo filo
diretto che li collega ai cittadini: questa è la chiave, e talvolta il
limite, della democrazia. Ogni esponente politico, quello a cui
guardiamo talvolta con ammirazione e tal altra con mal celato
risentimento, perché professa idee che non condividiamo, è in
realtà una persona come noi che ha deciso di scommettere su
di noi e sulle nostre proposte per creare una società migliore.
Dobbiamo quindi essere – tutti – più vicini alla politica, ad
ogni livello, dal semplice consigliere comunale al parlamentare
espresso dal nostro territorio.
L’azione che la Confederazione che rappresento svolge sul
potere centrale, Governo e Parlamento, deve essere sostenuta
dalla base associativa anche a livello locale, in un’azione comune
volta a sensibilizzare chi ci rappresenta sulle nostre esigenze.
Fino a non molti anni or sono, al politico non si chiedeva quanto
chiediamo oggi, perché ogni organo della pubblica amministrazione,
oltre ad essere il luogo in cui si gestiva il potere esecutivo,
era anche il centro da cui si diramava la conoscenza delle leggi
e la loro interpretazione.

Un ruolo che nel tempo si è in gran parte perduto: in minor
misura nell’amministrazione statale, meglio organizzata, più
evidente in quella periferica, in cui la ricerca delle soluzioni passa
in secondo piano rispetto all’abuso degli strumenti informatici,
che portano a standardizzare tutto. Un tempo bastava rivolgersi
ad un qualsiasi funzionario – dal dirigente al semplice collaboratore
amministrativo – per risolvere ogni problema, mentre oggi
devono essere i consulenti, i professionisti e le associazioni a
“spiegare” alle amministrazioni come applicare le leggi.
L’associazionismo, nato nel dopoguerra soprattutto per gestire i
rapporti sindacali, si è sempre più orientato verso la consulenza,
proprio per andare incontro a questo processo involutivo, che
se da un lato fidelizza gli associati, rappresenta una sconfitta per
le funzioni pubbliche. Su questa decadenza ha senza dubbio
giocato un ruolo importante la complessità delle leggi, da un
lato, e della società civile, dall’altro: nonostante i ripetuti interventi
del parlamento per l’abrogazione di tante leggi inutili o superate,
il nostro corpus legislativo resta elefantiaco ed estremamente
complesso. Se è vero, come sancito dal diritto costituzionale, che
una legge pubblicata sulla Gazzetta ufficiale è valida per chiunque,
indipendentemente dalla sua capacità di comprenderne
il testo, il contenuto e la forma delle leggi dovrebbero essere
improntati alla massima semplicità.
Per questo è ormai indispensabile una radicale semplificazione
delle norme, che tenga conto dei mutamenti vissuti o subiti
dalla società e che consenta alle imprese di avere certezze
sulla legittimità di ciò che fanno. Non è possibile, per esempio,
che un’impresa agromeccanica operi in un contesto del quale,
secondo un’impostazione giuridica obsoleta, non fa nemmeno
parte: un assurdo creato dalla stratificazione di regole in contrasto
fra loro, scritte in epoche remote e per scopi che ci sfuggono.
L’agromeccanico è considerato artigiano perché presta servizi,
ma lavora in agricoltura, occupando operai agricoli e impiegando
macchine agricole, per svolgere le stesse operazioni che
svolgerebbe un agricoltore. Un problema che Cai Agromec ha
presentato alla politica nazionale, ma che ogni agromeccanico
potrebbe esporre ai propri rappresentanti locali, direttamente o
attraverso l’associazione territoriale, per sostenere una battaglia
che può costituire il punto di partenza per una vera semplificazione
amministrativa.
Gli agromeccanici sollecitano
la politica a proseguire
nella semplificazione
• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI