Pnrr e innovazione, opportunità di sviluppo anche per gli agromeccanici

Mentre ancora infuriano le polemiche sull’eredità
lasciata dai governi che hanno dovuto affrontare
la pandemia e programmare la ripresa, ci fa piacere
ricordare le iniziative positive, e in particolare quelle
di applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Facciamo un passo indietro e vediamo di analizzare questo
processo che parte, purtroppo, dai giorni più tragici
dell’epidemia di Covid-19: l’Italia è stata una delle prime
nazioni ad esserne colpita e, ad oggi, abbiamo avuto oltre
26 milioni di casi e più di 190.000 vittime. Oltre alla strage
di vite umane, fra lock down e limitazioni varie, l’epidemia
ha fortemente inciso sull’economia con una consistente
diminuzione del Pil, che ha spinto fin da subito l’Unione
europea a varare una serie di misure finanziarie nell’ambito
del programma Next Generation Ue.
Fra queste si colloca il Pnrr, che ha potuto contare su una
dotazione complessiva di oltre 191 miliardi, ripartiti in vari
settori, dalla digitalizzazione alla rivoluzione verde, dalla
mobilità sostenibile alla ricerca, dall’inclusione e coesione
alla salute.
Nell’ambito di questi filoni principali sono stati individuati
numerosi percorsi, fra i quali quelli della missione 2, componente
1, nel cui ambito sono stati stanziati 500 milioni
di euro, di cui 400 per la meccanizzazione agricola e 100
milioni per l’innovazione nei frantoi oleari.
In prima battuta, sull’onda emotiva delle iniziative contro
i motori termici e della relativa decisione dell’Europarlamento,
sembrava che i fondi fossero destinati solo a
soluzioni non convenzionali, come l’impiego di robot e
droni e, per la trazione dei mezzi, dei motori elettrici o a
biometano.
Ma queste tecnologie, pur avendo raggiunto un elevato
grado di sviluppo, iniziano solo ora ad affacciarsi sul
mercato, con numeri produttivi ancora limitati e quasi
certamente insufficienti ad impiegare i fondi stanziati, con
il concreto rischio di disimpegno degli stessi.
Il dibattito creatosi sulla necessità di ampliare il concetto
di innovazione, anche per il determinante contributo dato
dalla Confederazione Agromeccanici e Agricoltori Italiani,
ha convinto tecnici e politici a riesaminare il programma di

investimento prima di emanare il decreto attuativo.
In tale sede, la capillare e continua azione svolta da Cai
Agromec a favore di un libero accesso ai fondi da parte
delle imprese agromeccaniche, per la loro propensione ad
innovare ed investire, ha convinto gli estensori del testo, divenuto
decreto a firma dei ministri Lollobrigida e Giorgetti.
Un risultato pieno e incontestabile, che crea un ulteriore
precedente nella legislazione italiana: per la prima volta gli
agromeccanici non sono stati considerati come categoria
residuale, dopo gli agricoltori, ma a pieno titolo e con pari
dignità rispetto agli altri beneficiari.
Il precedente bando sul Parco Agrisolare, in questo senso,
ha fatto da apripista, con l’istituzione di una categoria di
beneficiari che, pur appartenendo di fatto e di diritto alle
filiere agricole, avevano fino ad ora sofferto di un inquadramento
vago che non ne valorizzava il ruolo in agricoltura.
Con questa nuova impostazione si sta facendo strada un
principio già ampiamente riconosciuto in ambito giuridico,
che riconosce le imprese in base a ciò che fanno ed al
contesto in cui si muovono, piuttosto che a caratteristiche
di valore ormai storico.
Un errore che si è protratto per lungo tempo, quello di
considerare in qualche modo subalterne le attività di servizi
rispetto a quelle di produzione, che possono esistere
soltanto perché c’è qualcuno che svolge le operazioni
necessarie a conseguire la produzione.
Il decreto firmato ad agosto affida la gestione delle risorse
del Pnrr per l’innovazione alle regioni e alle province
autonome, con una precisa ripartizione. Spetterà a loro
emanare i singoli bandi, scegliendo quali requisiti stabilire,
fra quelli previsti dal decreto: è auspicabile a questo punto
che la declinazione sul territorio non modifichi lo spirito e
le finalità del provvedimento, con vincoli che potrebbero
favorire certe imprese rispetto ad altre.
Un’evenienza che, qualora si verificasse, potrebbe snaturare
lo sforzo fatto dai due ministeri, con il rischio di perdere
– e restituire a Bruxelles – fondi già stanziati. Sarebbe un
danno per il nostro sistema produttivo, che ha bisogno di
rinnovamento, per il nostro parco macchine (uno dei più
anziani del mondo), ma soprattutto per il nostro Paese.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI