Gli agromeccanici per un’agricoltura sostenibile ma per tutti

L’aggregazione fra gli stati d’Europa è sorta e si è sviluppata
per creare un mercato privilegiato capace di
evitare sperequazioni tali da indurre a ricorrere alla
forza per il reperimento delle materie prime.
Si concretizzava così il sogno di un pugno di statisti – fra cui
il nostro De Gasperi – di porre fine alle mire espansionistiche
degli stati più forti ed alla ricerca spasmodica di quello spazio
vitale che aveva acceso la miccia di un conflitto che aveva
lasciato il continente in rovina.
Prima si è cercato di assicurare la disponibilità delle risorse
energetiche, come quella atomica, seguita dal carbone e
dall’acciaio, poi i prodotti agricoli ed alimentari, per consentire
l’approvvigionamento della popolazione, evitando
speculazioni e ricatti fra paesi produttori e paesi importatori.
La preoccupazione comunitaria di assicurare a tutti la disponibilità
di cibo a prezzi accessibili consentì di liberare risorse
per gli altri consumi e sostenne il boom economico; eppure
la paura di restare “senza” passò in secondo piano rispetto
ad altri problemi che stavano emergendo.
I sostegni al mercato costavano troppo, oltre a produrre eccedenze
e guastare i rapporti con l’organizzazione mondiale
del commercio, per cui fu inventata l’integrazione al reddito
per gli agricoltori e per alcune attività di trasformazione di
prodotti strategici.
Gli impegni a ridurre le superfici coltivate, nati con lo scopo
di ridurre la sovrapproduzione, si sono nel tempo trasformati
in incentivi verso un’agricoltura meno intensiva, con minore
impiego di risorse e con una crescente attenzione all’ambiente
e al paesaggio rurale.
Un passaggio graduale che avrebbe potuto essere ulteriormente
sviluppato, in accordo col concetto che l’ambiente è
di tutti e tutti devono contribuire, aiutando le aziende a fare
agricoltura secondo un modello sempre più sostenibile.
La nuova Pac ha sviluppato ulteriormente il tema della riduzione
dell’impatto ambientale, sostituendo gli strumenti
rivelatisi inefficaci, come il greening, con altri obblighi – gli
ecoschemi – impegnativi ma comunque realizzabili, considerando
la parallela contropartita economica.
Le politiche ambientali stanno invece trovando gravi ostacoli
nel programma di rinaturalizzazione del territorio, un’idea

non priva di motivazioni condivise – come il ripristino del
suolo “consumato” e non realmente utilizzato – ma che ha
assunto connotazioni estremistiche.
Le tempeste economiche che hanno fatto seguito alla chiusura
delle frontiere, prima per la pandemia e poi per la guerra
in Ucraina, hanno infatti riportato in auge i fantasmi che ispirarono
il Trattato di Roma, dal cibo all’energia, dalle materie
prime alle altre importazioni da cui ormai dipendiamo.
In questo quadro ha suscitato forte preoccupazione il testo
sul recupero di aree dalle varie attività umane, da riportare
alle condizioni naturali: tutti si sono chiesti se la riduzione
avesse potuto toccare i suoi interessi e mettere in discussione
interi settori produttivi.
È bene ricordare che le procedure legislative comunitarie
sono più che democratiche, nel senso che si presta la massima
attenzione anche alla minoranza: il minimo scarto
ottenuto nella votazione sulla proposta del vice presidente
Timmermans porta alla ribalta le proposte di mitigazione del
provvedimento.
Le imprese agromeccaniche, attive nei servizi di manutenzione
e cura del territorio e, assai spesso, in ambito ambientale,
guardano con favore alle ipotesi di recupero delle
aree abbandonate; ma come soggetti di punta delle filiere
agricole si preoccupano soprattutto del mantenimento della
produzione agricola.
In un Paese, come l’Italia, che si distingue nel panorama internazionale
per la ricchezza del suo patrimonio alimentare,
è indispensabile tutelare le produzioni che stanno alla base
delle principali filiere: il nostro territorio si caratterizza infatti
per l’armonia con cui le esigenze produttive si inseriscono
nel paesaggio.
Come agromeccanici riteniamo che una ulteriore integrazione
fra natura e agricoltura sia possibile, a condizione che si
parta dalle evidenze scientifiche e non da idee preconcette,
costruite per giustificare scelte politiche costruite a tavolino.
La nostra storia, recente e passata, ha dimostrato l’importanza
della sicurezza alimentare come fattore di stabilità e di
progresso sociale e riteniamo che ogni strategia sulla gestione
del territorio debba tenere in primo piano la produzione
agricola.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI