Gli agromeccanici in prima linea per nutrire il pianeta

Ha suscitato un certo scalpore, e qualche reazione
risentita, l’eco delle rappresentanze agricole alle
azioni per consentire la riapertura delle esportazioni
di cereali dall’area del Mar Nero, sulla scorta dell’allarme
lanciato dalla Fao sulle conseguenze alimentari del blocco
della navigazione dovuti agli eventi bellici.
Come, si è chiesto qualcuno, per una volta che le quotazioni
dei cereali appaiono soddisfacenti e capaci, oltre
che di coprire i costi di produzione, di dare una redditività
sufficiente e di attrarre investimenti, dobbiamo lamentarci
che i prezzi sono troppo alti? Quello che potrebbe essere
un atteggiamento egoistico e puntato solo sulla ricerca del
massimo profitto – in fondo è proprio quello che ha tentato
di insegnarci la politica agricola comune – in realtà si scontra
con i sentimenti e con la natura stessa di chi vive e lavora
in agricoltura.
Certo che gli utili ci devono essere, certo che si devono perseguire
i propri legittimi interessi, ma da qui a rallegrarsi delle
disgrazie altrui ed a contristarsi se queste possono essere
alleviate, ce ne corre. Lo scopo del fare impresa non è solo
quello di fare buoni affari, e poi succeda quel che succeda: se
il sistema crolla, a che sarà servito avere lavorato ed investito
fino ad allora risorse economiche ed umane?
Uno dei valori fondanti dell’Italia e dell’Europa, nonostante
la deriva che ha contraddistinto gli ultimi anni della nostra
storia, è proprio nel concetto di responsabilità che l’imprenditore
ha dinanzi al mondo economico e alla società civile.
La responsabilità sociale di qualunque attività produttiva è
strettamente connaturata alla civiltà europea: se risaliamo
alle origini, deriva da quel fervore economico che aveva
traghettato il continente dal buio del Medioevo alla luce del
Rinascimento, dell’Illuminismo e infine della democrazia.
Un complesso di ideali che ha proposto un modello vincente
rispetto a quelli imposti dalle ideologie che avevano
dominato il secolo trascorso e che è valido tuttora: quello di
un’economia libera, ma indirizzata verso il benessere comune,
facendo ricorso ad incentivi, piuttosto che ad obblighi.
È un modello che, la storia ce lo insegna, non è facilmente
esportabile: ma è ciò che vogliono i cittadini italiani ed europei
e che, più o meno consapevolmente, è ambito da tutti

i popoli, che vedono nell’Europa la nuova Terra Promessa,
con tutti i problemi che questo può creare.
E qui torniamo al mercato dei cereali: se nel continente
africano (come del resto nel Vicino Oriente), in cui gran
parte della popolazione vive in stato di necessità, dovesse
iniziare a mancare il grano o altri generi alimentari, si produrrebbero
conseguenze incontrollabili. Chi è responsabile
della produzione agricola sta cominciando a rendersi conto
che, se manca il cibo, la stabilità politica vacilla pericolosamente,
anche dove la democrazia è ancora assente o allo
stato embrionale. Del resto, dicevano i nostri vecchi, a pancia
piena non si fanno rivoluzioni: per questo i paesi a maggiore
pressione demografica da anni si stanno dando da fare per
investire in terra coltivabile, in ogni angolo del globo.
Questa constatazione deve aiutarci a capire che il primo
dovere di chi governa è garantire cibo, risorse e benessere
ai suoi concittadini, una lezione che va bene anche per la
politica comunitaria e nazionale, che per anni ha rincorso
l’obiettivo della dismissione del suo potenziale produttivo.
Ci vuole un cambio radicale di atteggiamento, che riporti
l’autosufficienza alimentare e produttiva al centro dell’agenda
politica, a tutti i livelli: è giusto preoccuparsi per l’ambiente,
ma è irresponsabile aumentare la dipendenza dell’Europa
da altri paesi, dove i nostri valori sono ignorati o calpestati.
Tutto questo deve farci riflettere sul ruolo che l’agricoltura
ha non solo sul piano produttivo e della risposta ai bisogni,
ma anche su quello dell’immagine, ancora in gran parte
offuscata da posizioni ideologiche che mostrano come la
coscienza dei politici, soprattutto europei, sia ancora dominata
da persuasori esterni. L’agricoltura non è un mondo di
pescicani che disprezzano la salute e l’ambiente, il benessere
degli animali e la vita umana: questo accade certamente
fuori dall’Europa, ma non da noi, perché ci siamo dotati di
leggi giuste, eque e capaci di tutelare le esigenze di tutti.
L’agricoltura è una ragione di vita per milioni di agricoltori
e di agromeccanici europei, che investono ogni loro risorsa
ed ogni ora del loro lavoro per dare a tutti un cibo sano,
compatibile con l’ambiente, sostenibile in senso economico
e responsabile su quello sociale. Di questo dobbiamo essere,
noi agromeccanici prima di tutti, consapevoli ed orgogliosi,
in quanto protagonisti della diffusione della tecnologia e
dell’innovazione: dobbiamo far comprendere ad ogni livello,
il nostro senso di responsabilità per ciò che facciamo e per
ciò che dovremo fare.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI