La visione degli agromeccanici nell’agricoltura che cambia

Si dice spesso che nei momenti di difficoltà viene a
mancare il tempo per pensare, perché tutte le nostre
risorse sono – o sembrano – occupate a risolvere i
problemi contingenti. Eppure è proprio in questi periodi,
che tutti ci auguriamo durino poco, che si viene a creare
quella “tempesta di idee” che tanto ha affascinato i nostri
progenitori, dal Romanticismo in poi. Sembra quasi che più
carne si mette al fuoco, più la nostra sensibilità viene stimolata
a produrre e ad elaborare nuovi concetti: ma anche in
questo caso, ciò che sembra non rispecchia la realtà.
Se si porta il ragionamento più in profondità, si può scoprire
che in realtà non è in questi momenti che nascono le
nuove idee, ma siamo noi che, in qualche modo indeboliti
dallo stress che ci colpisce, riusciamo finalmente a vedere
ciò che prima avevamo intuito e accantonato.
In questo senso il verbo “produrre” descrive bene questo
processo: è la nostra mente a “condurre fuori” ciò che
nel nostro inconscio avevamo già elaborato, quasi senza
rendercene conto. Non tutti i mali, quindi, vengono per
nuocere, e questa occasione ci può servire per interrogarci
su temi fondamentali, e cioè su come la categoria
agromeccanica vede i cambiamenti che ci stanno intorno
e come può inserirsi nel nuovo mondo che ne scaturirà.
L’esplosione del conflitto, latente già da molti anni, fra Russia
e Ucraina, due Paesi con immense risorse produttive nonostante
i limiti climatici, ha riportato indietro di un secolo
l’orologio dell’economia, costringendoci ad un confronto
su temi che credevamo superati.
Autosufficienza alimentare, sicurezza negli approvvigionamenti,
riserve strategiche: tutti concetti che avevamo
accantonato come simboli di un mondo trascorso, in cui
uno Stato avrebbe potuto arrivare ad appropriarsi dei beni
di un altro di fronte ad una situazione di estrema necessità.
In un’economia globale, come quella che ha dominato nel
lungo periodo di “non guerra” che ha caratterizzato il passaggio
del secolo, erano termini passati di moda: c’era abbondanza
di tutto (in realtà c’è anche oggi) e tutto si poteva
comprare. Già due anni fa, all’esplosione della pandemia, la
prima doccia fredda, quando i media diffusero la notizia di
una fornitura di presidi medici requisita da uno Stato europeo
per causa di forza maggiore: possibile, ci chiedemmo,

che si arrivasse a violare principi che ritenevamo consolidati?
Già con la notizia della prenotazione dei vaccini su scala
nazionale abbiamo scoperto – ma senza capire – che è
compito dei governi garantire ai cittadini l’accesso ai beni e
ai servizi di prima necessità: dalle cure mediche ai farmaci,
dall’energia al cibo. Cibo che per molti, troppi anni è stato
banalizzato e colpevolizzato: le eccedenze alimentari erano
divenute un nemico pubblico, così come le produzioni
“intensive”, dall’ortofrutta alla zootecnia, trascinando in un
vortice di accuse infamanti tutta la filiera agricola.
Tacciono ora, zittiti dai fatti, coloro che fino a poco tempo fa
paragonavano una stalla con cento vacche da latte ad una
raffineria, facendo confusione con gli zeri e le virgole: eppure
quando le cose si mettono male sono proprio cibo ed
energia i fattori limitanti. Certo, la salvaguardia dell’ambiente,
la tutela dei cittadini più deboli, la sicurezza sul lavoro, la sopravvivenza
dei sistemi economici sono fattori irrinunciabili,
la cui perdita riconduce, prima o poi, alla destabilizzazione:
ma è compito della politica vigilare ed agire per il bene
comune. Come deve essere l’agricoltura di domani o, per
meglio dire, di oggi? Innanzi tutto, deve essere legata alla
scienza e alla tecnologia, come ogni altra attività produttiva,
e deve seguire il progresso senza temerlo, garantendo la
massima resa con il minimo impiego di risorse, specie se
non rinnovabili, ma senza fughe ideologiche. Deve essere
capace di assicurare cibo sano e di qualità a tutti, secondo
un principio che era stato la bandiera di Expo2015, e non
solo ad una ristretta cerchia di eletti: le eccellenze alimentari
sono una risorsa per il Paese, ma devono essere accessibili
e non limitarsi ai soli prodotti di élite.
I processi produttivi, in cui gli agromeccanici giocano un
ruolo di primo piano, devono essere rispettosi del benessere
individuale (per operatori e consumatori) e collettivo
(ambientale). Sono proprio gli agromeccanici, e noi lo
rivendicheremo con orgoglio in occasione dell’assemblea
generale che si terrà alla Tenuta di Maccarese (RM) il 20 e
21 maggio, i primi a garantire il rispetto di questi valori per
tutte le imprese agricole, indipendentemente dalle loro
dimensioni economiche. Grazie agli agromeccanici, il futuro
dell’agricoltura è già a portata di mano, un’agricoltura
moderna, sostenibile e responsabile: è questo il messaggio
che la Confederazione vuole trasmettere ai numerosi esponenti
della politica, dell’economia e della società civile che
incontreremo all’assemblea.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI