Quando la politica ignora la strategicità degli agromeccanici

Se prestiamo attenzione ai grandi obiettivi delle Nazioni

Unite per il 2030, anno solo in apparenza lontano, i

principali rimangono lo sviluppo sostenibile, porre cioè

fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare

l’alimentazione e promuovere l’agricoltura sostenibile.

Traguardi ambiziosi e non semplici, benché raggiungibili con

un cambio di paradigma dell’agricoltura a livello mondiale.

Non esisterà un solo modello, anche perché è evidente che

realtà con imprese di sussistenza familiare come quelle che

vi sono in India o in Africa di€cilmente riusciranno a strutturarsi

diversamente senza dover fare i conti con aumenti

dei costi di produzione che una società ancora fortemente

rurale non riesce a sostenere.

Al contrario, in Europa e in Italia si assiste a un fenomeno

di concentrazione produttiva, con purtroppo la di€coltà di

alcuni territori a tenere il passo, per la compresenza di gap

strutturali, climatici, organizzativi e di connessione.

La rete, già. Una parola magica, che ha molti significati. Fare

rete è sempre stata una soluzione per a.rontare sinergicamente

le necessità che uomini, imprese e mercati si trovavano

via via di fronte. Oggi i termini che vanno di moda sono

filiere e op, organizzazioni di produttori. Ebbene, alcuni dati

della Commissione europea evidenziano come l’Italia nel

settore agricolo nel 2015 potesse contare su 298 op, contro

le oltre 1.500 della Spagna. Come sta andando lo possiamo

vedere. La Penisola Iberica corre con le esportazioni e sta

strutturando una rete commerciale che si ra.orza proprio

grazie all’internazionalizzazione. La crescita dell’Italia nell’agroalimentare,

per quanto registri performance positive, soffre

la carenza di infrastrutture, piattaforme logistiche, leve di

export strutturate.

Per le filiere sta suonando la chiamata al dialogo. Quella che

in Francia è da sempre il fenomeno dell’interprofessione,

meccanismo oliato anche se non sempre in grado di funzionare

alla perfezione, è per l’Italia la sfida attuale. Il dialogo

deve passare attraverso l’innovazione e i soggetti che sono in

grado di garantire un’adeguata competitività.

È in questo frangente, con l’aiuto magari di un’altra “rete”,

rappresentata dalla IoT (Internet of Things, l’Internet delle

Cose), che si svilupperà il settore del cibo, grazie a soluzioni

quali la Blockchain, l’analisi dei dati, la minima lavorazione, la

crescita sostenibile che riduce i costi e permette di produrre

di più nel rispetto dell’ambiente.

Le imprese agromeccaniche si inseriscono a pieno titolo in

questo nuovo sistema di dialogo ed è in questa direzione che

– fra molte di€coltà, dovute essenzialmente all’esposizione

delle nostre aziende nei confronti delle banche e degli agricoltori

– che desideriamo accompagnare l’intera filiera agricola,

fornendo quegli strumenti e quella sicurezza che contribuiscono

a garantire la qualità e la tracciabilità dei prodotti.

Chi pensava che l’etichettatura fosse un dettaglio trascurabile,

si dovrà ricredere. Conoscere la provenienza delle materie

prime è fondamentale tanto per i consumatori quanto per i

produttori. Il caso del riso, le cui quotazioni sono risalite del

70-75% in pochi mesi dopo che la Commissione europea ha

finalmente deciso di regolamentare le importazioni dal Sud

Est Asiatico e l’Italia ha avviato un percorso di indicazione

d’origine, è emblematico.

Economia circolare e lotta allo spreco, in questa nuova visione

dell’agricoltura, sono strumenti in grado di rispondere

all’utilizzo razionale delle materie prime, della terra, delle risorse

idriche e del cibo. La recente pubblicazione “Prospettive

agricole OCSE-FAO 2018-2027, OECD Publishing, Parigi/

Food and Agriculture Organization of the United Nations,

Roma” traccia una parabola crescente della popolazione e

dei consumi, seppure in misura variabile a seconda delle

latitudini e delle tipologie di prodotti. Ma è innegabile che

chi fa agricoltura dovrà contribuire a dare risposte serie al

fenomeno dei cambiamenti climatici e di nuove mappe di

produzione, mutate e mutabili anche in funzione delle evoluzioni

geopolitiche. Cina, Russia, India e Stati Uniti sono solo

alcuni esempi.

Il mondo agromeccanico, per quanto strategico per la crescita

dell’agricoltura, non è ancora compreso da chi dovrebbe

tenere la barra del timone. Abbiamo chiuso il 2019 con

il sottosegretario alle Politiche agricole Franco Manzato che

ha ribadito che gli agromeccanici fanno parte del settore

agricolo e, colpo di scena, solo qualche settimana fa troviamo

il coordinatore della Commissione Politiche agricole in

Conferenza delle Regioni, Leonardo Di Gioia, che si schiera

contro il governo e frena sul percorso di semplificazione che

consentirebbe di chiudere nel migliore dei modi la questione

delle imprese agromeccaniche. Siamo tornati indietro anni

luce e ci chiediamo se l’Italia potrà mai dare una sferzata positiva

all’unico comparto economico che manda segnali (per

quanto timidi) positivi.

Intanto, cerchiamo di capire come si risolve quel “pasticciaccio

brutto” della revisione, per usare le parole del giornalista

Gianni Gnudi. L’incertezza trionfa. E le imprese soffrono.

• Gianni Dalla Bernardina

Presidente CAI