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Hanno suscitato un certo scalpore, soprattutto per i
non addetti ai lavori e nell’imminenza di Eima 2024,
le statistiche sul mercato delle macchine agricole: l’agricoltura
italiana ed europea mostra il suo lato debole, anche
a causa di una politica agricola che necessita di una revisione
significativa. Già la constatazione che in dieci anni le transazioni
usato contro usato hanno preso il sopravvento sulle vendite di
macchinari nuovi, testimonia una certa crisi di liquidità, oltre
ad una certa ciclicità degli acquisti: la media annua è di 17-18
mila macchine di ogni tipo, con incrementi importanti ma di
breve durata.
Il dato complessivo non esprime le differenze che caratterizzano
il settore primario, il cui profilo è assai eterogeneo: le aree
più ricche e le produzioni di pregio mostrano un maggiore
dinamismo, mentre quelle interne o con minori prospettive
di fatturato perdono terreno. Gli agromeccanici mostrano
anch’essi una certa differenziazione su base territoriale, in relazione
ai modelli produttivi più seguiti, ma con una propensione
ad investire nettamente superiore e non rigidamente collegata
all’andamento dei prezzi di listini, che hanno avuto aumenti
molto sensibili. Essere sulla piazza comporta un impegno ed
una responsabilità di fronte al cliente, che va dalla certezza di
servirlo qualunque sia la mole del lavoro, alla sicurezza di poter
offrire sempre un servizio di qualità. Certi adempimenti – dalla
salvaguardia della persona alla tutela ambientale – visti come
inutili balzelli da parte dell’agricoltore, sono considerati normali
da chi punta alla professionalità e alla competitività.
Bisogna poi aggiungere che il contoterzista sottopone le macchine
ad un impiego più intenso e continuativo e questo comporta
un’usura più rapida e la necessità di una sostituzione più
frequente: un anno in più, per una macchina che fa migliaia di
ore, può ridurne l’affidabilità con il rischio di scontentare i clienti.
Ma questi fattori di stabilità non sono sufficienti a spiegare le
forti oscillazioni nelle vendite, se non si arriva a capire che gli
incentivi non sono tutti uguali: il credito 4.0 si è via via dimezzato
e non è stato compensato da altre provvidenze, peraltro
estemporanee e scollegate fra loro.
Come ha mostrato l’ammortamento maggiorato, prima, ed
in seguito il credito d’imposta 4.0, gli effetti degli incentivi non
sono né immediati né automatici: l’acquisizione di un cantiere
di lavoro da centinaia di migliaia di euro richiede mesi o anni
di anticipo, anche da parte della rete di fornitura. Da parte del
legislatore è mancata una programmazione a lungo termine:
dal 2017 sono iniziati gli sgravi fiscali con il sistema degli ammortamenti
maggiorati, poi seguiti dal credito d’imposta 4.0,
con requisiti analoghi ma non identici e con una percentuale
di credito che si è ridotta dal 50% al 20%.
Nel frattempo è uscito il programma di innovazione introdotto
dalla legge di Bilancio per il 2023, che scadrà l’anno prossimo,
gestito da Ismea; sono partiti i fondi regionali previsti dal PNRR,
poi affiancati dai crediti “energetici” gestiti dal GSE; e infine i
bandi ISI-INAIL, ciascuno con i propri vincoli, regole e obiettivi.
Un flusso di denaro importante, ma frammentato in mille rivoli
diversi, che rischia di indirizzare i beneficiari a cercare la combinazione
più favorevole in termini di contribuzione, piuttosto
che quella più adatta ai bisogni aziendali e alle esigenze del
settore in cui operano.
Sarebbe stato forse meglio accorpare tutti i fondi disponibili
attribuendo un punteggio crescente al rispetto dei vari obiettivi
– innovazione, ambiente, energia, sicurezza – di durata almeno
quinquennale, se non di più, per guidare le imprese nella programmazione
del loro processo di crescita e miglioramento.
Un altro grave ostacolo, di cui le imprese agromeccaniche
stanno facendo le spese, e non da ora, riguarda la diffusione
della conoscenza, all’interno del mondo agricolo, dei processi
di agricoltura conservativa e di precisione, che consentirebbe
di ridurre gli input, migliorare le rese e alleggerire l’impatto
sull’ambiente.
Tecniche che il contoterzismo è già in gran parte pronto ad applicare
– gli investimenti 4.0 vanno in questa direzione – ma che
non trova grande riscontro nella parte agricola: pochi agricoltori
hanno metabolizzato le nuove tecnologie e gli altri non sono
disponibili ad applicarle, perché non ne conoscono i benefici.
La formazione riveste un’importanza basilare per diffondere le
nuove idee e stimolarne l’applicazione, ma non basta: le macchine
di ultima generazione hanno bisogno di tecnici informati
e formati, più che di semplici operatori esperti.
Il ruolo dell’esperienza è ormai stato superato da quello della
conoscenza. CAI Agromec da tempo si è dotata di uno strumento
specifico per formare le imprese aderenti e le loro maestranze:
CAI Agromec Academy è ormai una realtà di successo
in molte regioni ed il suo ruolo sarà sempre più indispensabile
agli agromeccanici ed agricoltori del futuro.
Innovazione
e meccanizzazione
gli agromeccanici ci sono
• Gianni Dalla Bernardina
Presidente Cai Agromec