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Si dice spesso che in Italia manca la capacità di programmazione,
difetto da cui il resto dell’Europa sarebbe immune,
ma è solo la conferma dell’atteggiamento – questa
volta tipico della nostra cultura – di piangersi addosso. Mentre
tutti si arrabattavano alle prese con la pandemia, l’esempio di
lungimiranza lo ha dato proprio un italiano, il prof. Paolo De
Castro, che si è impegnato per dare continuità alla vecchia PAC
nella fase di transizione con la nuova programmazione.
L’evento ha suscitato, anche nel nostro Paese, ampie manifestazioni
di entusiasmo, perché il momento non ha certo
bisogno di ulteriori motivi di incertezza.
Tuttavia, per le imprese agromeccaniche sarebbe stata certamente
preferibile un’accelerazione del processo di rinnovamento,
perché l’attuale sistema è incentrato sul produttore
agricolo piuttosto che sul processo nella sua interezza.
Per comprendere a fondo questo concetto, rivoluzionario
rispetto al passato, bisogna fare un passo indietro.
La seconda Conferenza di Cork aveva avuto il grande merito
di evidenziare una delle principali criticità delle politiche di
aiuto finora attuate, e cioè quella di favorire alcune categorie
imprenditoriali a scapito di altre, che pure caratterizzano gli
ambienti rurali. Ambienti che manifestano, in tutta l’Unione
europea, un forte ritardo nello sviluppo e condizioni di vita
generalmente inferiori rispetto alle aree urbane e periurbane,
dove si concentrano lavoro, economia, benessere e
tecnologia.
Tali sperequazioni mettono in difficoltà la stessa agricoltura,
specialmente quando si parla di digitalizzazione: nelle campagne
mancano le infrastrutture di telecomunicazione (banda
larga) non solo per la ridotta densità di popolazione, ma soprattutto
per la minore concentrazione di utenza tecnologica,
che spinge le grandi compagnie a rivolgersi altrove, dove è
più facile fare utili.
Le iniezioni di denaro pubblico, ad oltre 10 anni dal varo dei
primi programmi di connessione, sembrano avere mancato
l’obiettivo, perché i territori rurali sono sempre in ritardo rispetto
al progresso tecnologico.
Per questo, la Conferenza era giunta all’importante conclusione
che nelle aree rurali la crescita doveva riguardare tutte
le imprese del territorio, e non solo i produttori agricoli: così
facendo, lo sviluppo sarebbe arrivato da solo, attirando investimenti
anziché dirottarli verso gli agglomerati urbani, come
avviene ora. Un’impostazione decisamente rivoluzionaria,
per chi ha goduto dal 1992 di una rendita di posizione che ha
provocato distorsioni di ogni tipo, dalle tenute reali della Gran
Bretagna ai titoli “storici” di casa nostra, che hanno continuato
ad arricchire sempre le stesse persone, indipendentemente
dalla produzione agricola.
Ma anche oggi, tutti cercano di tradurre “area rurale” con “agricoltore”,
seguendo lo stesso processo semantico che aveva
portato il Re Sole ad identificarsi con lo Stato: il concetto di
“area rurale” comprende tutte le imprese, anche non agricole,
che concorrono al benessere comune.
Fra queste ci sono ovviamente gli agromeccanici, che fanno
tanta paura a causa della loro innata propensione agli investimenti:
basta una semplice indagine a livello locale per scoprire
che in un ambito territoriale con 100 agricoltori, un solo
terzista investe annualmente più di tutti gli altri messi insieme.
Se lo stesso agromeccanico potesse accedere direttamente ai
fondi per lo sviluppo rurale, le sovvenzioni potrebbero avere
un livello di efficienza e di efficacia assai maggiore.
Mentre il finanziamento al singolo ha effetto solo sul suo
fondo, quello concesso al contoterzista può realmente andare
a beneficio di tutto il territorio, indipendentemente dalle
scelte dei singoli agricoltori, così come quello che finanzia
un’attività di trasformazione dei prodotti, anche se di natura
non agricola.
L’effetto finale, prefigurato dalla Conferenza di Cork, è quello
di sviluppare tutta l’area rurale, piuttosto che costituire rendite
personali che non portano ad uno sviluppo armonioso di
quella parte della società civile che vive nelle campagne.
Da questo punto di vista, i ritardi del legislatore europeo nella
definizione ed applicazione della nuova PAC non giovano ad
una positiva evoluzione tecnologica dell’agricoltura, proprio
perché continuano ad escludere dallo sviluppo rurale, per altri
due anni, le imprese non agricole.
Come ha acutamente osservato il prof. Angelo Frascarelli in
occasione dell’ultima edizione (digitale) de “Il Contoterzista
Day” avremo una PAC con fondi nuovi e regole vecchie; un
segno di continuità nell’immediato, ma anche un invito ad
impegnarsi maggiormente per il futuro.
• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI