Conoscere bene il sistema produttivo per fare scelte politiche giuste ed efficaci

Il primo obiettivo che ogni governo cerca di realizzare è

quello di applicare il programma presentato in occasione

dell’ultima tornata elettorale, essendo stato discusso all’interno

del partito, presentato agli elettori e poi confermato

dall’esito della consultazione.

Non sempre però i programmi trovano una eettiva realizzazione,

perché le iniziative sono decise collegialmente dal

governo e sono pertanto dominate dagli equilibri politici che

lo sorreggono. La storia italiana del dopoguerra mostra innumerevoli

casi in cui il partito egemone ha dovuto inchinarsi

all’esigenza di accontentare un partner minoritario, ma che

in quel momento garantiva la sopravvivenza del governo o

talora della legislatura. E poi ci sono le proposte di vari centri

di potere, democratici e non, oltre alle esigenze contingenti,

come quelle legate alla pandemia da Covid-19, a complicare

il quadro: l’insieme di questi fattori concretizza ciò che chiamiamo

pluralismo, uno degli elemento fondanti della democrazia.

Ciascuno degli elementi citati contribuisce al processo legislativo,

con tutti i limiti dovuti al diverso peso che il governo

ed i suoi ministri gli attribuiscono: può così capitare che

qualche esigenza primaria si perda per strada e con essa sfumino

occasioni importanti per il Paese.

Può apparire paradossale che, in quella che è stata definita

“Era della comunicazione”, informazioni fondamentali per le

politiche economiche possano venire oscurate dal clamore

mediatico, ma è proprio il grande volume di dati da esaminare

a farne ignorare qualcuno. Aggiungiamo che la facilità

di accesso alle informazioni spinge a documentarsi soltanto

sulla rete, mentre la diusione dei dispositivi portatili (smartphone

e tablet) porta a preferire le notizie brevi ai più lunghi,

ma autorevoli, resoconti economici e statistici.

Le oggettive di.coltà ad acquisire direttamente le informazioni

si sono ingrandite anche per eetto dei blocchi agli spostamenti

legati alla pandemia, portando il governo a prendere

decisioni non sempre adeguate, come l’incomprensibile

sospensione dell’attività per aziende a basso rischio o con

produzioni di alto valore strategico. Il fenomeno ha riguardato

tutti i settori, ma nelle filiere agricole, ambientali e forestali

– quelle che più interessano la categoria – abbiamo visto

chiudere le industrie costruttrici di macchine agricole, nostri

principali fornitori, oltre all’intero comparto forestale e della

manutenzione del verde.

La conoscenza dei processi produttivi agricoli è anch’essa limitata

e parziale, o almeno così pare dall’esame dei provvedimenti

adottati, che sembrano orientati ad accontentare più

chi alza i toni, rispetto a quelle che dovrebbero essere le linee

di sviluppo del settore primario. I rapporti pubblicati da Crea

mostrano un’agricoltura alquanto diversa da quella rilevabile

dall’analisi dei provvedimenti legislativi adottati dal governo

e dalle regioni (non tutte...), che sembra ancora profondamente

legata a modelli produttivi ed organizzativi obsoleti.

La centralità dell’azienda agricola, che si fa tutto da sé e che

entra nelle filiere come unità produttiva chiusa, non è visibile

dalle statistiche nazionali, che mostrano invece un quadro

assai più vicino alla realtà: nemmeno metà della Sau è gestita

direttamente dall’agricoltore, una quota che scende ancora

per la raccolta delle colture erbacee e di quelle destinate alla

trasformazione.

Le lavorazioni agricole svolte per conto terzi incidono, secondo

le statistiche u.ciali, per oltre 4 miliardi di euro, con

una crescita ormai costante negli ultimi trent’anni, portando

nelle campagne italiane quell’innovazione a cui i piccoli e

medi agricoltori non avrebbero accesso diretto per mancanza

di fondi o di professionalità.

Come molti processi economici, il contoterzismo è altamente

democratico, perché tutti possono decidere se accedervi

o no, presenta costi certi e programmabili (una caratteristica

che l’investimento in proprio non possiede), e garantisce

– come altre forme di outsourcing – una grande flessibilità

rispetto ai cambiamenti. Di tutto questo però non si trova

traccia nelle politiche agricole nazionali e, spesso, regionali,

che continuano a perseguire un modello di sviluppo utopistico,

peraltro mai realizzato a dispetto delle risorse pubbliche

profuse.

Se l’agricoltura italiana impiega male le proprie leve finanziarie

– nazionali o comunitarie – non soltanto non cresce, ma

addirittura perde posizioni sulla scena economica europea

ed extraeuropea, un fatto purtroppo registrato dalle statistiche.

Che due terzi della terra coltivabile sia lavorata, trattata, curata

e raccolta da imprese senza una propria dignità giuridica,

sovente ignorate dal processo legislativo, rappresenta

una grave distorsione, che Cai ha ripetutamente segnalato al

governo ed agli esponenti di tutte le forze politiche.

È proprio di questi giorni la notizia della disponibilità data

dalla Ministra delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali,

on. Teresa Bellanova, ad arontare insieme le problematiche

delle imprese agromeccaniche: un segnale positivo che fa

ben sperare, in relazione al ruolo decisivo svolto dagli agromeccanici

nell’innovazione delle filiere produttive agricole e

forestali.

• Gianni Dalla Bernardina

Presidente CAI