Le imprese agromeccaniche per una revisione equa e sostenibile

Il recente incontro tenutosi a Montecitorio sulla revisione
delle macchine agricole ha riportato all’attenzione dei
media l’annosa vicenda della revisione delle macchine
agricole, ad oltre dieci anni dalla formalizzazione nel Codice
della strada di quella che fino ad allora era stata una semplice
dichiarazione di intenti.
La riforma nasceva dalle risultanze del rapporto parlamentare
sulle morti bianche in agricoltura, che mostrava dati
epidemiologici allarmanti, con una frequenza annua di
120-150 casi mortali: in tutta fretta, a fine 2012, un emendamento
andò a modificare l’art. 111 del Codice. Nonostante
siano trascorsi più di dieci anni senza che si interrompesse
la tragica sequenza, le norme che si sono succedute non
hanno ancora reso operativa la revisione per mancanza dei
provvedimenti attuativi.
Il settore agricolo ha dovuto subire le accuse di avere spinto per
procrastinare all’infinito l’avvio dell’operazione, come se le vittime
non appartenessero alle varie categorie di operatori coinvolti:
un’accusa ingiustificata, perché nessuna rappresentanza
sindacale vorrebbe mai mettere in pericolo i suoi associati.
Certamente esistono differenze fra i vari operatori: per quanto
riguarda i professionisti della meccanizzazione, come spesso
vengono definiti gli agromeccanici, una revisione non punitiva
non comporterebbe particolari inconvenienti per chi è abituato
a tenere i propri mezzi in buone condizioni di funzionamento.
Qui sta probabilmente l’elemento divisivo, perché i veicoli stradali
sono soggetti da sempre ad un regime di controlli periodici
orientati alla sicurezza nella circolazione, senza che ciò abbia
mai suscitato opposizioni. Per le macchine agricole, invece,
è stata prevista una forma di revisione con duplice valenza:
oltre alla rispondenza all’omologazione stradale, i controlli riguardano
i requisiti per la sicurezza sul lavoro, aprendo così un
ulteriore fronte sul piano delle competenze richieste ai tecnici,
addetti alle verifiche.
Se l’intenzione del legislatore appare condivisibile, questa versione
della revisione coinvolge ulteriori aspetti oltre alla tecnica
costruttiva e all’omologazione, perché la sicurezza sul lavoro
è un processo in divenire, che comporta l’aggiornamento del
mezzo allo stato dell’arte al momento del controllo. Un quadro
del tutto diverso rispetto ai veicoli stradali, per i quali non si

controllano, sugli esemplari più datati, i sistemi per la sicurezza
attiva e passiva e la tutela ambientale, divenuti obbligatori in
seguito. L’estensione multidisciplinare coinvolge competenze
diverse rispetto a quelle dei Ministeri inizialmente incaricati,
Infrastrutture e Trasporti e Agricoltura, Foreste e Sovranità alimentare:
un aspetto negativo, perché potrebbero non disporre
di personale atto a valutare i requisiti di sicurezza.
Ai ritardi operativi ha certamente contribuito il mancato coinvolgimento
di altre amministrazioni, come quelle competenti
sulla tutela del lavoro; a questo si aggiunge l’incertezza sulla
reale consistenza numerica dei mezzi coinvolti, che rende
difficile programmare la migliore scansione temporale.
Se l’obiettivo primario è quello di ridurre gli infortuni, una revisione
limitata, almeno in prima istanza, al controllo di roll bar
o cabina, cintura di sicurezza, luci, sterzo e freni non richiede
speciali capacità tecniche né, per la maggior parte delle macchine,
dispendiosi interventi di adeguamento. Poi, nelle edizioni
successive, si possono affinare i controlli, ma sempre con un
criterio di gradualità per non creare allarme o, peggio ancora,
incoraggiare chi utilizza poco le macchine ad eludere l’obbligo.
Alzare troppo l’asticella potrebbe infatti snaturare lo scopo della
revisione, che si tradurrebbe in un adempimento formale oneroso,
destinato ad essere rispettato solo da quegli imprenditori
– come agromeccanici e agricoltori con aziende non accorpate
– che circolano frequentemente su strada.
Se impostata così, la revisione pare destinata ad aggravare i costi
di chi già presta la dovuta attenzione alla sicurezza su strada e
in campo, mentre finirà per favorire chi, per deliberata volontà
di eludere le norme o per carenza di controlli sul territorio, non
si presenterà all’appuntamento.
Una schiera che si ipotizza fin d’ora piuttosto numerosa e che
potrebbe comprendere privati e hobbisti, che sembrano essere
i più esposti: la maggioranza degli infortuni gravi, imputabili alle
macchine agricole, riguarda infatti i soggetti non professionali,
non coperti dalle assicurazioni sociali obbligatorie.
Il rischio reale che si corre è che la revisione si traduca in un
obbligo a carico dei soli professionisti dell’agricoltura, agromeccanici
e agricoltori, ma senza riuscire a prevenire efficacemente
gli incidenti che insanguinano le nostre strade e le nostre campagne.

• Gianni Dalla Bernardina
Presidente CAI AGROMEC